01 settembre 2022

CHIESA e vaccino. Una storia ricca di sorprese, tra medici, preti, papi e filosofi

Vaccinazioni in Campidoglio
SAGGIO BREVE

Le donne della Circassia erano così belle che i padri le concedevano agli harem e alle corti di tutto il Mondo. Da loro venne l’uso, utilissimo all’Umanità – scrive un paradossale Leopardi nelle Operette Morali – di prevenire con un’inoculazione il vaiolo che devasta i volti.

E se dal male talvolta viene il bene, nessun incipit leggendario è più adatto a introdurre l’intricata e contraddittoria storia del vaccino tra Settecento e Ottocento, tanto più se la si osserva come dibattito di “tutti contro tutti” tra Chiesa, filosofi, uomini di scienza, e anche all’interno della Chiesa stessa.

Né i virus, né tantomeno il loro uso preventivo, si conoscevano nel primo Settecento, quando inizia la nostra storia. La nuova pratica appare esotica, una vera magìa, perfino ai medici. Si può immaginare, perciò, quanto la novità paradossale e scandalosa d’innestare nei bambini e adulti sani un “male”, nella speranza di ottenerne un “bene”, cioè d’evitare una malattia ben più grave capace di uccidere o deturpare per sempre, potesse dividere la società d’allora, dominata dalla prima grande divaricazione nella Storia tra nuova civiltà della Scienza, già mitizzata, e antica o eterna Morale, tra cieche paure e altrettanto cieca fiducia nel progresso e nella modernità.

La Chiesa è contraria o favorevole alla inoculazione? Ed è vero che tra gli intellettuali laici si manifestano – contrariamente a una diffusa vulgata – differenze, riserve, incomprensioni ed entusiasmi analoghi a quelli presenti nella Chiesa? E qual era il sentimento dell’opinione pubblica colta, un’élite, dato che la quasi totalità del popolo era analfabeta? 

Prepariamoci a correggere non pochi stereotipi nel districarci in tempi in cui ancora antico e moderno convivono, in un’Europa terrorizzata che per la prima volta nella Storia tenta di rispondere a un’epidemia devastante. Un virus asiatico anche il vaiolo (“vajolo arabo” lo chiama anche la Chiesa), dalla mortalità altissima: in media il 30 per cento, ma nei bambini arrivava fino al 90 per cento. Per questo, a differenza dell’attuale Corona virus, a essere vaccinati erano per lo più i bambini. Eppure le proteste degli adulti non furono inferiori a quelle di oggi.

Le due inoculazioni: due “scienze” a confronto

Per la prima volta si susseguono in un confronto su larga scala, lungo il Settecento e l’Ottocento, come in una grande ricerca sperimentale, due metodi di prevenzione: quello empirico antichissimo in uso nelle campagne d’Oriente, e quello empirico-sperimentale della nascente medicina scientifica europea.

Il primo metodo, in vigore per tutto il Settecento, è la rudimentale “variolizzazione” (dal nome latino del virus del vaiolo, Variola virus), “inoculazione” o “innesto” da uomo a uomo, mediante il graffio d’un pennino sporcato col virus del vaiolo umano preso dalle pustole dei malati leggeri o in via di guarigione. Nessuno sa come e perché funziona. È il metodo millenario che alla fine del Seicento dal lontano Oriente arriva al Caucaso, in Circassia, e di qui a Salonicco in Tessaglia (Grecia, allora turca ottomana), poi a Costantinopoli; infine grazie a due geniali medici italiani e figli di italiani, nati nelle isole veneziane dell’Egeo, Jacopo Pilarino ed Emanuele Timoni, che studiano e migliorano l’imprecisa tecnica di “mammane” cristiane-greche a Smirne e Costantinopoli e creano un metodo razionale che sarà adottato per un secolo in tutt’Europa e in America. Per tutto il secolo dei Lumi, quei “graffi” funzionano. Se va bene, come nella maggior parte dei casi, la variolizzazione causa una breve malattia benigna e un bubbone dov’è avvenuta l’inoculazione, che poi regredisce a grande cicatrice. E rende immuni e senza cicatrici sul volto o sul corpo, e non è poco. Ma se effettuata da inesperti o se qualcosa va storto, altro che prevenzione: persone sane sono infettate di vaiolo, muoiono o restano deturpate per tutta la vita, diffondendo ancor di più l’epidemia. Quindi tutti torti non li hanno quei nobili o contadini, religiosi o laici, colti o ignoranti, tradizionalisti o modernisti, che per paura rifiutano di farla praticare ai propri figli.

Il secondo metodo, quello del “vaccino” (dal lat. vacca) si diffonde ovunque e con rapidità dall’Ottocento, e s’impone come più sicuro ed efficace della variolizzazione. È  ottenuto non dall’uomo malato, ma dalle mammelle delle vacche infette del vaiolo bovino che è un virus poco aggressivo sull’uomo. Il medico inglese Edward Jenner inocula per la prima volta nel 1796, e mette a punto, prova e pubblica uno studio scientifico convincente, accettato dalla Società di medicina (1798). Ma, anch’egli come Pilarino non parte da zero, fa tesoro di numerose osservazioni, precedenti anche di vent’anni, di tanti che avevano osservato l’immunità delle mungitrici di vacche affette da vaiolo: allevatori, agricoltori, medici, perfino un religioso protestante.

I due metodi, uno dopo l’altro, rappresentano quasi simbolicamente il passaggio dalla “Scienza antica” alla “Scienza moderna”. La Scienza antica e tradizionale, individualista, intuitiva, ancora con tracce di magia e superstizione, ma pur sempre partita dall’osservazione, da categorie, idee e ragionamenti (come aveva insegnato Ippocrate), tramandata per generazioni da medici rurali decaduti a guaritori contadini o “mammane” ignoranti, che però avevano ereditato qualcosa dai dispersi segreti degli Antenati sapienti. E poi la prima Scienza moderna, fondata su ripetute osservazioni, sperimentale, razionale, anonima, prudente, che non parte da zero, ma adatta e perfeziona la secolare tradizione contadina e vi aggiunge più precise e ripetute prove, ipotesi da formulare e avvalorare, dimostrazioni, logica, deduzioni, correzioni degli errori, ripetibilità dell’esperimento; e poi numeri, tanti numeri, come ha imposto la svolta di Galileo.


Pio VII Chiaramonti
Dalla questione morale alla satira

Ma sia la variolizzazione, sia la successiva vaccinazione, non sono accolte bene, né dalle Accademie di medicina, anche le più laiche, né dalla Chiesa cattolica e dalle altre Chiese cristiane. "Superstizione popolare", "pratiche bestiali, sataniche", erano i commenti più ricorrenti. E anche i mussulmani, gli islamici d'allora, dell'Impero Ottomano, erano diffidenti. Quindi non era la religione a opporsi alle varie forme di prevenzione del vaiolo, nonostante quello che si scrisse in seguito; ma la diffidenza popolare e colta verso la scienza, l'istintiva prudenza e paura del nuovo, specialmente quando si tocca in base a nuove teorie direttamente il corpo umano.

Mettiamoci nei panni degli uomini dell’epoca: l’idea d’inoculare in un bambino sano, più di rado in un uomo adulto, un terribile virus nella speranza di prevenire la malattia da questo provocata, sembra insensata e diabolica. Non solo ecclesiastici tradizionalisti, ma medici, farmacisti e speziali, intellettuali illuminati e progressisti, sono all’inizio per lo più contrari o perplessi. E figuriamoci nella Roma dello Stato Pontificio e nella Chiesa d’allora – ironizzeranno gli anticlericali – refrattarie a ogni novità fuori dell’ordine naturale, come si legge nei “Sonetti” del Belli. Ma stavolta, come si vedrà, questo stereotipo non funziona.

È giusto, etico, oppure contravviene alla legge di Dio, alla Tradizione e al diritto naturale, inserire un pericoloso virus umano (variolizzazione) o addirittura animale (vaccinazione) nel corpo dell’uomo? Ed è opportuno – ci si chiede in presenza di questi dubbi e pericoli fisici e morali – vantarsi di “salvare” in questo modo vite umane? O non si fa che ostacolare il naturale decorso della Natura e gli imperscrutabili disegni divini che anche nell’apparente male tendono sempre al bene?

Temi da fini teologi, moralisti o scienziati d’un tempo, non certo da analfabeti. Perciò è assai curioso che nei suoi “Sonetti” romaneschi il poeta satirico Giuseppe Gioachino Belli, impiegato in Vaticano (sarà perfino funzionario alla Censura e direttore della Biblioteca),dedichi nel 1834 il sonetto “Er linnesto” all’opinione che sulla vaccinazione ha un immaginario popolano romano che addirittura s’interessa di vaccini e morale cattolica, in tempi in cui oltre il novanta per cento della popolazione è incapace di leggere e scrivere. Ebbene, l’idea che il fittizio popolano ha del vaccino è perentoria: è contro la Natura. Perché proprio ad essa Dio ha affidato il compito di “mandare al cimitero chi vuole”. E invece, avverso questo disegno divino, imprecisati “medici massoni”, oltretutto per futili motivi estetici (evitar loro le cicatrici sul viso), impedirebbero ai bambini di ammalarsi e morire di vaiolo, e perciò, innocenti come sono, di andare in Paradiso! Insomma, un crimine. Per fortuna – continua a sproloquiare il Belli sotto i consunti abiti del popolano – è arrivato papa Leone XII, il restauratore del vecchio ordine, che metterà le cose a posto, cominciando col vietare il vaccino. Che Dio lo benedica!

È chiaro che l’autore per rendere la satira più arguta mette in bocca a un presunto popolano romano idee proprie inconfessabili o ricavate dalla società romana più conservatrice, magari orecchiate nelle anticamere da un vecchio ecclesiastico misoneista più papalino del Papa, reso loquace dall’anonimato e da un buon bicchiere di vino d’Orvieto. Del resto l’avversione alle “diavolerie scientifiche” moderne, è un topos della satira. Eppure nel 1834 il Belli doveva sapere che l’inoculazione preventiva del vaiolo era ormai accettata dai medici e perfino dai Papi, anche i più prudenti (v. oltre), come l’unico modo per salvare vite umane e stroncare la terribile epidemia. 

In realtà, come vedremo, nessun Papa ha usato queste argomentazioni, neanche l’intransigente papa Leone XII della Genga qui invocato, severissimo cultore dei costumi cattolici più tradizionali; ma che abrogò solo l’obbligatorietà del vaccino, oltretutto fino ad allora non messa in pratica, senza proibirlo, pur potendolo fare. La “malafede” satirica è confermata in una piccola nota del Belli: «Il vajuolo arabo. Si allude all’abolizione fatta da Leone XII dell’istituto di vaccinazione ecc., ed allo scioglimento de’ sudditi della Chiesa dall’obbligo di esibirgli i loro figliuoli». In un’altra sua nota la tesi che il “vaccino ruba il Paradiso ai bambini”, che suona d’un cinismo senza pari, è attribuita, come per scusarsi, a un consulente teologico d’eccellenza del Papa, ovviamente dopo la sua morte: «Massima favorita della Ch. M. del Cardinale Severoli, tenuto da Leone XII per l’oracolo dello Spirito Santo». Qui il sarcasmo, l’ironia satirica, serve a denotare il distacco del Belli, vero "Dottor Jekyll e Mr Hide", da questo personaggio portato in palmo di mano dal pontefice, per motivi che diremo in seguito, legati al Conclave.

Leone XII Della Genga
Il finto “caso Annibale della Genga”

La prima leggenda da sfatare, perciò, è quella di papa Leone XII. Le cronache, gli editti e i documenti – come vedremo – escludono che la Chiesa al suo vertice la pensasse sull’inoculazione come il popolano immaginario dell’ambivalente Belli. Si possono avanzare alcune ipotesi sull’origine di tale leggenda. L’autore dei Sonetti, da buon conservatore è contrarissimo al vaccino, ma si vergogna di apparire passatista, e perciò si nasconde dietro lo scudo della satira attribuendo la propria opinione a uno strano popolano inventato che sotto la lingua greve nasconde concetti etici e teologi da monsignore. Macché, sotto sotto, è cripto-illuminista, come si vede anche dalle note del Sonetto, e prende in giro i conservatori. Acqua, acqua: Ma la sorpresa è che può esistere un’altra interpretazione, come dire, “psicopolitica”, forse la più fondata, che ha a che fare con le idiosincrasie dell’autore e perfino con gli equilibri politici della Chiesa scaturiti dalla movimentata elezione di papa Leone.

 Nel Conclave del 1823 in Quirinale il favorito card. Antonio G. Severoli del partito degli “zelanti”, rigoristi intransigenti fautori d’una restaurazione religiosa della società e della riaffermazione identitaria della Chiesa dopo il “turbine laicista napoleonico”, arriva a soli sette voti dall’elezione; ma è bloccato dal colpo di scena del veto (jus exclusivae) dell’Austria. L’altro partito è quello dei moderati, favorevoli al riformismo del Segretario di Stato di Pio VII card. Ettore Consalvi. Il giorno dopo è la Francia a porre il veto a qualsiasi candidato degli zelanti: si sa che vorrebbe il card. Giulio M. della Somaglia, che si era definito durante l’occupazione napoleonica “cittadino Somaglia”.

Un “papa giacobino” allarma tutti, zelanti e moderati. Serve una mediazione. Ed ecco sorgere dal nulla la candidatura del card. Annibale della Genga, vecchio, malato e cadente, quindi – pensano tutti – destinato a durare poco. Ripiego che mette tutti d’accordo, in quanto Genga è “zelantissimo”, reazionario e amico di Germania e  Austria. Così è eletto papa, come male minore, con i voti determinanti del Consalvi, dopo che si è dissolta la candidatura del candidato moderato, il Castiglioni. Prende il nome di Leone XII.

«Avete eletto un cadavere» dirà appena eletto. Molto malandato, fa sperare i cardinali in una rapida dipartita; ma poi una volta Papa, forse con l'aiuto dello Spirito Santo, rifiorisce come per miracolo. Tiene fede, invece, all’aspettativa della corrente intransigente, anti-francese e anti-liberale che voleva una radicale restaurazione dei valori religiosi e spirituali nel già ultra-conservatore Stato della Chiesa, a suo dire troppo secolarizzato.

Sulla sincera religiosità e onestà del nuovo Papa nessuno ha qualcosa da dire, ma i cattolici liberali criticheranno sul piano politico la velleità di quasi costringere alla fede per legge. I liberali del Risorgimento lo dipingeranno giustamente come uno dei Papi più moralisti e meno tolleranti della Storia, capace d’innumerevoli provvedimenti che impongono a tutti i sudditi il rigore d’una morale ortodossa con la stessa forza che i sudditi romani gli avevano visto esercitare come Cardinal Vicario. Tenta di ricreare il clima morale d’un Ancien régime e di trasformare Roma nella “città santa” d’uno Stato teocratico fuori tempo, una lugubre città caratterizzata da continue processioni, penitenze e digiuni obbligatori, e i pochi teatri chiusi (a meno che non mettessero in scena opere edificanti di santi).

Con un Papa così fanatico, che proibiva perfino di bere nelle osterie la popolare “fojetta” (tradizionale piccolo boccale da vino senza manico), costringendo gli avventori a bere in strada (v. sonetto “Li cancelletti”, del Belli), cronisti e storici laici dell’Ottocento – come non capirli? – dettero per scontato che quando abrogò l’Editto “liberale” del predecessore  Pio VII avesse inteso proibire severamente il vaccino. Così, Inglesi e Americani, da sempre anti-papisti, anche di recente, hanno sparato a zero su Papa della Genga. Ma sono scivolati sulla buccia di banana della vaccinazione. «Nella sua insensata rabbia contro il progresso – aveva scritto Georgina S. Godkin, storica del Risorgimento italiano, nel 1880 – vietò la vaccinazione. Di conseguenza il vaiolo durante il suo regno devastò le province romane». Così tutti noi abbiamo creduto a lungo. Ma era un’affermazione sbagliata, almeno nella prima parte.

Il luogo comune errato o impreciso era fino a ieri così radicato che il 27 gennaio 1986 in una conferenza ad Albany (New York) il prof. Daniel Maguire, della Marquette University, tira in ballo ancora una volta la presunta opposizione della Chiesa ottocentesca al vaccino (oltretutto lasciando intendere a contrario che tutti i laici fossero pro-vaccino): «Chiunque si fa vaccinare cessa di essere figlio di Dio», dice il conferenziere riportando presunte “parole di Leone XII”. Perché in fondo «il vaiolo è un giudizio di Dio. La vaccinazione è una sfida al Paradiso». Parole che Papa della Genga avrebbe pronunciato nel 1829, l’anno stesso della sua morte. E questa citazione con la condanna senza appello dei vaccini da parte della Chiesa continua ancor oggi, dopo 200 anni, a essere citata su giornali e siti internet anglofoni.

Ma il gesuita americano Donald. J. Keefe, che ha il pallino dell’investigazione, non potendone più, si è messo a controllare. E ha scoperto che per quante ricerche siano state fatte da studiosi ecclesiastici e laici, difensori della Chiesa e acerrimi nemici, mai nulla è stato trovato che si possa attribuire a dichiarazioni orali o scritte di papa Leone in questi o analoghi termini sui vaccini. Del resto l’inesistente non può essere provato: deve esser cura di chi afferma qualcosa provarlo. Ebbene, mai questo è stato fatto. Tutti gli autori dell’attribuita citazione si citano per pigrizia l’un altro, senza che si possa mai arrivare a una fonte primaria certa. Così degli innumerevoli testi che attribuiscono a Leone XII il divieto di vaccinazione contro il vaiolo – scrive Keefe su “Fellowship of Catholic Scholars” – nessun documento ufficiale o ufficioso, e neanche una qualsivoglia testimonianza o indiscrezione documentata di terzi, riporta tali affermazioni.

Sia chiaro, vogliamo fare gli avvocati del diavolo: essendo nota la sua posizione integralista, non si può escludere in teoria che papa Leone possa aver pensato o perfino pronunciato le parole citate da Maguire, magari in privato, come monsignore o cardinale (come Papa è più improbabile: per chiunque sarebbe stata indiscrezione troppo ghiotta per tacerla). Ma ciò non risulta da nessun testo. E sì che – ecco la motivazione caratteriale fondamentale – una personalità così decisa non avrebbe certo avuto scrupoli per dire in pubblico chiaramente no all'inoculazione e al vaccino, come non ne aveva per decidere e attuare con piglio decisionista tanti altri provvedimenti politici ben più duri.

E poi sono i fatti, anzi, i non-fatti che parlano. Pur potendo, Papa della Genga non fa nulla di concreto per vietare la vaccinazione; ma si limita ad abrogarne l'obbligatorietà con Circolare legatizia pontificia del 15 settembre 1824, probabilmente per i mugugni di basso clero e popolo (non più dei medici, ormai, da quando la variolizzazione era stata sostituita dal più sicuro vaccino).

Ma sì, anche i Papi (e i loro ispiratori fidati) vaccinano

Ma come, la vaccinazione era obbligatoria nei domini della Chiesa, prima di Papa Leone? E da quando? Certo, il vaccino di Jenner era stato reso formalmente obbligatorio nello Stato Pontificio nel giugno 1822, dopo due anni dallo scoppio dell’ennesima epidemia di vaiolo, da papa Pio VII, Barnaba Chiaramonti, con l’Editto del Segretario di Stato, Consalvi, per le pressioni o il parere ascoltatissimo, nientedimeno, dell'influente conte Monaldo Leopardi, padre del poeta, grande propagandista del vaccino. Ma l’Editto è di fatto inefficace: la doppia dipartita del Consalvi e del Papa inducono  i maldisposti burocrati a non darne più esecuzione.

Perciò papa Leone XII abroga un Editto Consalvi inattivo. Poi conferma, pur potendolo non farlo, l’obbligo dei medici dello Stato della Chiesa di praticare la vaccinazione volontaria, cioè su richiesta dai sudditi, gratuitamente. «Rimane obbligo a Medici e Chirurgi condotti di eseguirla gratuitamente [la vaccinazione antivaiolosa, NdR], a quanti vogliano prevalersene, essendo questa la cura ed il preservativo di una malattia alla quale, come a tutte le altre, essi hanno l'obbligo di riparare». Anche ai più increduli americani di oggi, come anche alla storica inglese Godkin, la Circolare di Leone XII del 1824 dovrebbe dunque parlar chiaro: addirittura conferma per decreto che i Medici se richiesti sono obbligati a vaccinare, e che solo il vaccino previene il vaiolo.

Anzi, c'è una curiosa coda in quest'ultima frase, che se papa Leone fosse stato in modo forsennato anti-vaccino non avrebbe aggiunto. Perché ricorda ai medici "l'obbligo di riparare" questa malattia, pur "data da Dio", come dicevano preti e teologi anti-inoculazione, riconoscendo al vaccino di essere "la cura ed il preservativo". E  se l'analisi logica non è un'opinione, l'ultima frase tradisce addirittura una sua posizione in teoria non contraria. Ma poi, un papa duramente anti-vaccino avrebbe mai conferito l’onorificenza pontificia dello Speron d’oro al primo dei medici vaccinisti, il milanese Luigi Sacco, detto il Jenner italiano, primo teorico della vaccinazione di massa? Insomma, verrebbe quasi da pensare che papa Leone nel suo provvedimento si sia in realtà barcamenato, abbia mediato diplomaticamente tra due posizioni presenti nella Chiesa. E tutto questo il Belli, non il satirico, ma il serio funzionario del Vaticano, non poteva ignorarlo.

È vero, però, che dalla liberalizzazione di papa Leone scaturirono conseguenze pratiche, cioè  sanitarie, ben oltre le parole della Circolare, come lamentò – per prudenza molti anni dopo la morte di Papa Leone, in una Relazione scientifica del 1836 – il medico cattolico prof. Giacomo Tommasini, capo della Commissione delle Vaccinazioni di Bologna, quindi suddito del Papa. Ecco perché la “libertà di vaccinazione” ristabilita da Leone XII al posto del mai praticato obbligo vaccinale dell’Editto Consalvi, fu interpretata non solo dal popolano del sonetto del Belli e dagli stessi medici dello Stato della Chiesa; ma anche nella “Storia d’Europa nel secolo decimonono” da uno storico del calibro di Benedetto Croce (che con intelligenza guarda non alla lettera d’una circolare legatizia, ma alle sue pratiche conseguenze storiche e sociali), come un segno di minor interesse della Chiesa alla profilassi anti-vaiolo, anzi, un invito dissimulato a ridurne la diffusione. E, infatti, questo lassismo ebbe effetti epidemiologici: la successiva ondata epidemica del 1828 nella piccola Bologna causò 553 morti, e molte altre vittime una terza ondata nel 1835.

Eppure, da laici e liberali dobbiamo riconoscere che lo Stato della Chiesa in questo, solo in questo, non era peggiore di altri Stati, compresi quelli liberali e anticlericali. “Libertà” e non “obbligo” era allora il principio vigente in quasi tutti gli Stati d’Europa, inclusa la Gran Bretagna che il nuovo vaccino aveva creato. Nel Regno di Sardegna la vaccinazione diventa obbligatoria solo per i militari, con tanto di premi per i medici (Lettere Patenti 1819); ma nel Regno d’Italia (legge Crispi) solo nel 1888, per i neonati.

Dopo il plauso del papa illuminista Benedetto XIV Lambertini e il salto in avanti di Pio VII con un Editto sul vaccino che resta sulla carta, poi abolito da papa Leone XII, a ridare slancio alle vaccinazioni nello Stato della Chiesa sarà papa Gregorio XVI, Bartolomeo Cappellari, di Belluno, cioè “austriaco” per i monsignori romani, ingiustamente satireggiato dal Belli per pura antipatia e futili motivi – dalle grandi cene (“magnate”) alla bruttezza – in ben 273 “Sonetti” ("A Papa Gregorio je volevo bene, perché me dava er gusto de potenne di’ male", si legge in un appunto trovato fra le sue carte). E invece, papa Gregorio crea la Congregazione speciale di Sanità (1834), comincia a vaccinare dando qualche esecuzione pratica all’Editto Consalvi e dispone la vaccinazione obbligatoria per i detenuti. Dopo di lui, papa Pio IX, Mastai Ferretti delega i Comuni. Per esempio il Comune di Roma – si legge in un manifesto del 1848 – espone un programma di vaccinazione, parrocchia per parrocchia, in Campidoglio, non solo gratuita, ma anzi “retribuita”. Se il vaccinato torna dopo otto giorni e il medico vaccinatore ne constata l'esito favorevole, è premiato con un “papetto”, moneta d’argento di 2 paoli nota a Roma anche come “prospero” o “lammertini”, dal nome dell’amatissimo Papa che vi è raffigurato. Solo che il popolo non risponde e anche i poveri si rifiutano, insospettiti proprio dal premio: va a finire che si vaccinano impiegati, “minenti” (popolani arricchiti) e sparute élites dirigenti.

La grande disputa tra filosofi, medici, scienziati e religiosi

Ma che ruolo hanno gli intellettuali nella discussione? Sono i primi animatori. La polemica divide i pochi sapienti e letterati, religiosi e laici, quando le prime scoperte cominciano a essere prese in considerazione dalla medicina, cioè dalla prima metà del Settecento. Umanisti e scienziati di tutt’ Europa si entusiasmano della variolizzazione: fatti i conti, si risparmiano parecchie vite umane.

Il matematico svizzero Daniel Bernoulli nel 1760 mostra in uno studio statistico presentato all’Accademia delle Scienze di Parigi che il cittadino d’una grande città ha una probabilità tra 1/4  e 1/8 di morire di vaiolo; ma solo 1/200 di morire di variolizzazione. Gli risponde il filosofo enciclopedista Jean d’Alembert, che fa notare l’atroce contrasto tra proiezione statistica e principio morale, argomento usato spesso anche dalla Chiesa. La morte diventa un numeretto? Ai parenti dei deceduti variolizzati sarà di nessun conforto, anzi motivo di disperazione ulteriore, sapere che sono morti per una “giusta” e raffinata causa scientifica (i misteriori “effetti avversi” di cui tiene conto la probabilità del prof. Bernoulli), anziché per una “ingiusta” e rozza causa naturale.

Per gli Illuministi, però, la variolizzazione è una sorta di miracolo laico: gli artifici dell’intelligenza umana e il metodo scientifico sono il Progresso. Peccato che le “mammane” contadine della Tessaglia e i medici italiani che le osservano e studiano, sembrano lasciar fare tutto alla Natura.

Eppure, con tutti i suoi rischi la variolizzazione è patrocinata da intellettuali milanesi di prestigio, tra i quali Cesare Beccaria (“pratica vantaggiosissima”), Pietro Verri (“si tratta o di lasciar perire o di conservar la vita alla decima parte del genere umano”, Caffè,1766) e dall’abate poeta Giuseppe Parini, insieme cattolicissimo e illuminista, che in una prolissa e illeggibile ode “L’innesto del vajuolo” (1765) critica il fatalismo e la mancanza di prevenzione di chi ritiene questo, come ogni male, ineluttabile: «Oh, debil arte, oh mal secura scorta / che il mal attendi e no’l previeni accorta».

Anche al Papa l’innesto diretto del vaiolo umano sembra ammissibile e da consentire, perché naturale, malgrado i non pochi effetti avversi. L’innovatore card. Prospero Lambertini, Benedetto XIV, caro agli intellettuali nord-italiani ed europei (Voltaire stravede per lui), ha tutto il tempo – morirà nel 1758 – di prender parte come sostenitore al grande dibattito che infiamma l’Europa. Molto favorevole in via di principio, ma in pratica moderatissimo. Segue il suo teologo di fiducia, l’illuminato sacerdote Ludovico Antonio Muratori. I tempi – dice papa Lambertini – non sono ancora maturi, e per far accettare questo “preservativo” bisognerà aspettare più d’un papa. In fondo, i papi sono gli ultimi a dover innovare in queste cose. «Se io fossi imperatore o re – scrive all’amico Giovanni Bianchi, esponente dei medici contrari – l’inoculazione, in vista de’ vantaggi che vi scorgo, sarebbe ormai ammessa ne’ miei Stati. Ma non voglio scandolezzare li timidi e li deboli». Insomma, sì, certo, un dono del Cielo; ma non è il momento. In pratica, no. E' la nuova impostazione modernista, o non piuttosto la vecchia attendista di sempre?

Il fatto è che la Chiesa è divisa e incerta, ma non strenua oppositrice come sosterranno poi liberali e anticlericali nell’impeto della passione politica. I Gesuiti, sempre attenti alla scienza, recensiscono con favore e incredibile tempestività la prima Relazione scientifica del dottor Jacopo Pilarino nel 1715. Nello stesso anno gli efficienti padri della Compagnia di Gesù cominciano a sperimentare l'inoculazione sugli indigeni delle loro missioni in America del Sud, anticipando le colonie inglesi e francesi del Nord, dubbiose fino al 1777. Anzi, poiché l'innesto del vaiolo viene dall’Oriente, fanno dell’ironia sui cattolici anti-innesto: «Sembra quasi che temano che col vaiolo sia inoculato anche l’islamismo!», scrivono col consueto acume..

In effetti questa sembrava la principale preoccupazione dell’Occidente cristiano, compresi alcuni medici, fino al tardo Settecento. A Londra il predicatore anglicano rev.Edmund Massey fa stampare a grande richiesta nel 1722 il durissimo “Sermone contro la pratica pericolosa e peccaminosa dell'inoculazione” che tanto successo aveva provocato tuonato dal pulpito della chiesa anglicana di Saint Andrew’s Holborn. L'inoculazione non è cristiana – sosteneva – perché l’uomo non ha il diritto di infliggere malattie ad altri o di decidere in materia di vita o di morte. Solo a individui di religione superstiziosa e fatalista, l'inoculazione può sembrare ragionevole. Dove non si conoscono le dottrine della Salvezza, e si confonde la Provvidenza con l'assurda credenza di una Fatalità, non c'è da meravigliarsi se gli uomini si abbandonano a pratiche empie o irragionevoli.

Anche Voltaire, dall’altro versante, crede di sapere perché i preti sono contro l’inoculazione: è per pregiudizi teologici e perché è una pratica non cristiana che proviene dagli “infedeli”, e che “può avere successo solo tra gli islamici” (“L’inoculazione del vaiolo”, Lettere filosofiche 1734). Come pure sostenevano – gli opposti coincidono – il rev.Massey a Londra e l’inascoltato cappellano di lady Montagu, che non era riuscito a impedire a Costantinopoli l’inoculazione del di lei figlio suggerita dalle mammane greco-cristiane e dagli studi dei dottori italiani Pilarino e Timoni.

Ma sia il predicatore anglicano (contrario), sia l’anticlericale illuminista Voltaire (favorevole), ignorano che paradossalmente l’innesto che dovrebbe proteggere dal “vaiolo arabo” è poco praticato dai “fatalisti e irragionevoli” arabi. Infatti da testimone oculare, il cristiano medico Pilarino in una relazione alla Royal Society di Londra aveva scritto nel 1715 che nell’ottomana Costantinopoli erano piuttosto i Cristiani a volersi far variolizzare, come si faceva da tempo in Grecia (Salonicco) grazie alle mammane greco-cristiane, le stesse poi incontrate nella capitale ottomana, non i mussulmani. “Solo i Turchi, così assuefatti alle loro nozioni sulla predestinazione, e così ancorati agli antichi pregiudizi, trascurano di trarne vantaggio" (Philosophical Transactions). La stessa moglie dell’ambasciatore inglese, lady Montagu, fanatica della variolizzazione, anzi, la più tenace propagandista, abita nel quartiere cristiano di Costantinopoli.

Ai fatalisti (contrari) Cristiani della Predestinazione, perciò, alcuni scienziati come il filo-inoculista Charles M. de la Condamine obiettano con ironia: «Ma si potrebbe rispondere anche che chi è inoculato era predestinato all’inoculazione!» (1754). Anche Voltaire la pensa così. I Gesuiti non credono nella predestinazione e approvano i modernisti; ma poi diventano più prudenti, fanno un passo indietro e si ritirano dal dibattito: troppo spinoso e imbarazzante trovarsi dalla parte dei mangia-preti e di Voltaire.

Insomma, un grande equivoco culturale. Altro che inoculazione come “pratica mussulmana”: era semmai vero l’opposto. Anche perché il lontano Oriente dove l’innesto era nato in tempi remotissimi era quello dell’India (graffi sulla pelle) e della Cina (aspirazione di polveri dal naso), non certo il più recente Impero Ottomano. I Gesuiti e il medico italiano avevano ragione.

Voltaire non sa nulla dei medici italiani Pilarino e Timoni, i veri scopritori e primi studiosi della variolizzazione, e dando origine a una vulgata erronea che dura fino ai giorni nostri, loda l’innesto come cosa “inglese”(e intende lady Montagu…). Denuncia l’oscurantismo di gran parte di medici e preti. “Perché lo Stato – lamenta – aspetta il loro beneplacito? Non è forse chiaro ormai che l’esperienza inglese è positiva?” (Lettres cit.).

E intanto la polemica divampa e si espande. Sono contrari alla variolizzazione, nei primi decenni, buona parte del clero di base cattolico, anglicano, protestante, e perfino l’opinione pubblica laica di Francia, già ricca d’una evoluta borghesia, ben più razionalista di quella italiana. L’abate Jacquin in una “Lettera sull’inoculazione” si dice del tutto contrario non solo all’innesto, ma anche a qualsiasi forma di prevenzione della malattia. Gli si contrappone il razionalista cancelliere Ètienne-Dénis Pasquier, favorevole. Denuncia: preti e popolo devoto sono convinti addirittura che “somministrare a un essere umano una malattia che forse non gli verrebbe naturalmente, significa tentare Dio”. Una nuova forma di superstizione, insomma.

Sono contrari i medici cattolici, come Philippe Hecquet che nelle “Ragioni per dubitare dell’inoculazione” (1722) sostiene che “è una pratica riprovevole, contraria al potere divino, che non ha nulla di medico e somiglia alla magia”. Intanto i parroci bretoni riuniti in assemblea parlano di “crimine contro la legge divina”.

E in America? All’attivismo dei missionari gesuiti in Brasile e Sud-America si contrappone l’incertezza delle Colonie del Nord. Dal divieto della variolizzazione (motivi etici, religiosi, ma anche medico-igienici, perché pratica ad alto rischio) si passa al ricorrervi in massa e affannosamente quando le ondate dell’epidemia terrorizzano tutti. E’ lo scienziato Benjamin Franklin a far notare che il vaiolo fa molti più morti degli effetti avversi della variolizzazione. Nel 1777, durante la Guerra d’Indipendenza che porterà alla proclamazione degli Stati Uniti, un’epidemia di vaiolo più forte delle altre convince il generale in capo George Washington a rendere obbligatorio l’innesto tra i soldati.

Ma intanto in Europa passano i decenni e le posizioni si addolciscono. L’anglicano vescovo di Worcester nel 1752 si dichiara favorevole all'innesto, suscitando scalpore in tutte le comunità cristiane tradizionali di base. L’Italia è in ritardo ovunque. A Bologna, Stato Pontificio, sede della famosa Università, le variolizzazioni dei medici Vincenzo Menghini, primo nel 1756, e Leopoldo M. Caldani trovano l’Accademia delle Scienze bolognese diffidente, perché timorosa del Legato Apostolico, e il popolo contadino ostile, tanto che il Caldani per condurre la sperimentazione deve innestare bambini all’insaputa dei padri, il che già allora è deontologicamente scorretto.

Non solo alcuni medici romani si dichiarano favorevoli nel 1754; ma il teologo agostiniano Gian Lorenzo Berti nel 1762, con altri due dotti teologi, il Raimondi-Adami e il Veraci, pubblica l’opuscolo “Tre consulti”, un importante documento etico-religioso in difesa dell'inoculazione. Il Raimondi considera che “la Legge Cristiana insegna di ricevere tranquillamente dalla mano di Dio le malattie, dalle quali siamo assaliti, ma non ci vieta di cautelarci contro di esse con gli opportuni rimedi, e di prevenirle co’ i segreti dell’arte”. Perciò il medico “farà azione utile, prudente e caritatevole, col prevenire il naturale pericolo”. Perfino i più retrivi monaci ortodossi in Grecia – riferisce lady Montagu – hanno “cristianizzato” l’innesto dando alla disordinata serie di punture sulla pelle la forma d’una croce.

L’intera Cristianità in sostanza, divisa tra i no del basso clero ligio alla regola della Provvidenza e i sì illuminati delle alte gerarchie che si sentono sulla coscienza il numero di morti, sembra sospendere il giudizio; resta in attesa dell’evoluzione scientifica per tutto il Settecento. Il che per i laici è una grande novità: sembra quasi che nelle sue varie Comunità la Chiesa si appresti a riconoscere per la prima volta libertà di dibattito e una certa autonomia della ricerca scientifica.

E gli Ebrei come prendono la novità? Con buonsenso e realismo analogo a quello dei Papi. Alla fine del Settecento Rav Yehudah Chayim Ghiron, di Casale Monferrato, chiede un responso al Gran Rabbino Posseq Ishmael Cohen, di Modena, scomparso nel 1810. È permessa l’inoculazione, “come fanno i re”, oppure come sostengono alcuni non è il caso di competere con i danneggiatori (il virus)? Rav Cohen è scettico all’inizio: la vaccinazione stessa è un pericolo di vita. Ma poiché beneficio e salvezza sono più probabili della perdita, e considerato che non si usa vaccinare se non dove il contagio è già diffuso, si possono asseverare le parole degli scienziati a sostegno di tale operazione. A condizione che il medico attesti che non si evidenzia un rischio per il soggetto che vi si sottopone. Insomma, pur nella contraddizione tra il pericolo in sé dell’inoculazione e l’impossibile “garanzia” da chiedere al medico, l’autorità rabbinica non trova motivi per proibire l’innesto. Un parere favorevole, ma non entusiasta.

Poi quando all’inizio dell’Ottocento arriva il “vaccino” dell’inglese Jenner, sicuro ma tratto dalle pustole delle mammelle delle vacche, le critiche degli antimodernisti e le paure popolari, dopo quasi un secolo di rischiosa ma efficace variolizzazione da uomo a uomo studiata e fatta conoscere dagli italiani Pilarino e Timoni, non cessano, come si potrebbe immaginare, ma anzi se possibile si esacerbano, come si è visto nel sonetto del Belli “Er linnesto”. Figuriamoci se può sfuggire che si tratta d’un siero proveniente da “animali”. “Sangue di animali mischiato a quello dell’Uomo”? “Bestialità” la definiscono alcuni filosofi moralisti laici, oltre ai religiosi tradizionalisti di ogni Fede. Così si va a intaccare la “sacralità” dell’Uomo, lamentano alcuni teologi. Insomma, aumenta la diffidenza di intellettuali laici, medici, preti e popolo; popolo che ormai non è dappertutto il popolino emarginato e analfabeta del Belli, ma in alcuni Paesi ormai comprende tutta la borghesia attiva, colta e perfino abbiente. Come l’Emilia o la Lombardia. 

Ora, però, i medici cattolici prevalgono sui religiosi e sembrano avere l’ultima parola. In Italia, si lamentano della diffidenza popolare il già citato prof. Tommasini, responsabile per le vaccinazioni a Bologna, e soprattutto il grande medico filantropo Luigi Sacco che il vaccino se lo fa con vacche italiane. A Milano e in tutta la Repubblica Cisalpina dal 1800 al 1810 vaccina di persona e gratuitamente circa 500 mila bambini e adulti (una media di ben 136 al giorno, a quei tempi!), oltre a 900 mila vaccinati dai suoi collaboratori, nella più massiccia campagna di vaccinazione mai effettuata in Europa. E il numero dei vaiolosi a Milano e in Emilia (a Bologna Sacco sarà chiamato nel 1801) per la prima volta crolla.

L’incredibile paradosso del conte Leopardi “modernista”

Le contraddizioni si annidano in tutti gli angoli della Storia e si fanno beffe della coerenza e della logica. E così proprio un intellettuale cattolico ultra-tradizionalista avverso a ogni nuovismo è uno dei maggiori sostenitori del modernismo della vaccinazione nello Stato della Chiesa, anzi in Italia. Dopo il Tommasini, è il più tenace diffusore del vaccino nelle Marche e nello Stato pontificio, con la differenza che è molto influente sul Papa. È il conte Monaldo Leopardi di Recanati. Tutti abbiamo imparato a conoscerlo a scuola, come padre del poeta Giacomo, topo di biblioteca, severo difensore dell’ortodossia, poco meno che un “bieco reazionario”. Ma la Storia smentisce i luoghi comuni. Fatto sta che all’età di soli tre anni nel 1801, regnante a Roma papa Pio VII, Barnaba Chiaramonti, il bambino futuro poeta e filosofo per iniziativa privata del padre è fatto vaccinare, primo nelle Marche e nello Stato della Chiesa, come vanterà il conte esagerando, “fiero di aver accreditato questa nuova benefica scoperta”.

Il bibliomane conte Leopardi, pur nel “natio borgo selvaggio” di Recanati, ha già in biblioteca il libro del medico inglese tradotto in italiano e stampato a Pavia nel 1800 (“Ricerche sulle cause e sugli effetti del Vajolo delle Vacche”), e ne diventa subito un acceso propugnatore. Visto che né ad Ancona né a Roma le Autorità sono provviste di “vaccina”- scrive nel diario – mentre l’epidemia infuria, dall’amico conte Doria di Genova si fa inviare la “marcia”, un filo impregnato di materia infetta che servirà al medico di Recanati, dottor Alberini, per praticare con apposito pennino poco più che un graffio sul braccio dei figli.

Erudito umanista non alieno dalle scienze (ecco da chi eredita i geni il poeta Giacomo), cattolicissimo, ultraconservatore, in seguito nominato anche Gonfaloniere (sindaco) di Recanati, il conte Monaldo sorprende tutti, anche la Curia romana che lo tiene in grandissima considerazione, diventando all’improvviso un fervido apologeta e propagandista in tutte le Marche, anzi nell’intero Stato pontificio, della vaccinazione anti-vaiolo, una sorta di “lady Montagu italiana”, ma in pantaloni e spadino. Sarà sul tema l’ispiratore fidato di papa Pio VII, neanche fosse un medico. Grazie alla sua influenza Papa Chiaramonti incaricherà il card. Consalvi di redigere l’Editto sull’obbligatorietà del vaccino (1822). A leggere le sue carte, quello che più sbalordisce è la competenza da scienziato, lo spirito d’osservazione più che settecentesco, maniacale, con cui scrive il “diario sanitario” in cui annota minuziosamente, giorno per giorno, ora per ora, anche per fatterelli insignificanti, l’evoluzione della breve “malattia” nei figli. Il più forte dei quali risulta proprio Giacomo.

Un attivismo frenetico anche sul piano sociale che contrasta con la fama di misoneista e individualista scolpita per sempre sui libri di scuola. Non solo esorterà vivamente i parroci, spesso riluttanti o contrari; ma i bambini poveri portati dai genitori alla vaccinazione avranno in regalo 5 baiocchi (1818). E, a riprova che ogni propaganda di massa vuole delle penalità, il capofamiglia che non fa vaccinare, a meno di motivata dichiarazione, è multato di ben 50 baiocchi. Anche se l’Editto Consalvi, dal Leopardi promosso, non fu applicato, lo fu invece a Recanati e nelle Marche, dove grazie al conte il vaccino fu di fatto obbligatorio, ben prima della stessa Inghilterra che lo aveva inventato, e di altri Stati italiani.

Questo furore ”illuminista” e paternalista “per il bene del cittadino” (che farebbe infuriare i conservatori di oggi) in chi si dichiara nemico giurato dell’Illuminismo e vorrebbe tornare all’Ancien Régime, fa sorridere, perché sarebbe tanto piaciuto al progressista Voltaire. Che però non sappiamo se avrebbe còlto, come del resto il Leopardi, il divertente duplice paradosso della Storia: i reazionari che non appena possono agire diventano modernisti e rivoluzionari, e quindi autoritari; e i liberali che trovata la verità da loro sempre negata la vogliono imporre con autoritarismo e intolleranza.

L’eterna dialettica tra solidarietà e libertà, autorità e tolleranza.

Del resto, a Voltaire e agli altri Illuministi, tutti presi dalla polemica in nome del Liberalismo contro la “Chiesa che non vaccina” o lo fa senza convinzione, sfugge che una polemica liberale dovrebbe rilevare elementi di paternalismo e autoritarismo anche nello “Stato che vaccina” in modo sempre più stringente e obbligatorio, dalla fine dell’Ottocento ricorrendo perfino alla polizia contro gli adulti.

Così il primo vaccino della Storia diventa occasione di scontro tra i diversi diritti che il nuovo Stato moderno liberale afferma di tutelare. Di fronte al nuovo obbligo, accompagnato da dure sanzioni (il Vaccination Act inglese è del 1840), le autorità locali tendono a non farlo rispettare; ma nel 1871 la legge è modificata per punire i funzionari inadempienti. E in Inghilterra come nell’America del Nord si moltiplicano le proteste. A Leicester nel marzo 1885 oltre 20 mila manifestanti si radunano vicino al castello di York per protestare contro l'incarcerazione di sette attivisti. Una legge del 1898, disattesa da leggi successive, riconoscerà la “obiezione di coscienza”. Che paradossalmente già la Chiesa di fatto tollerava.

La giusta solidarietà umana e sociale, il bene comune, la tutela della salute e la pietà umana verso i malati, che uniscono in teoria Cristiani e Liberali, non bastano più come contrappeso, se si annulla o umilia – obiettano alcuni pensatori – la libertà intesa come diritto all’integrità del corpo e della persona. L’Habeas corpus  (letteral.: abbi il tuo corpo) accettato nella Magna Carta dal re d’Inghilterra nel 1215 proteggeva nobili e religiosi, e sarà esteso a tutti i cittadini inglesi nel 1679. Il re, cioè il potere, non può da allora “mettere le mani addosso” a nessuno che non abbia commesso reati, senza il suo consenso. Chi lo fa si pone fuori dello Stato liberale e di diritto.

Ecco perché perplessi, quando non duramente contrari, di fronte ai Governanti che impongono obbligatoriamente la vaccinazione al cittadino adulto, tanto più se pensante e portatore di idee e teorie che vanno rispettate anche se potrebbero essere al limite scientificamente “false”, sono grandi filosofi, pensatori liberali e scienziati, come il filosofo tedesco Immanuel Kant e il sociologo inglese Herbert Spencer.

Il vaccino e la “modernizzazione” della Chiesa

La Chiesa, grazie alla sua struttura monocratica, sa gestire meglio queste contraddizioni. Superata la presunta incompatibilità morale-scienza, è comunque coinvolta dal contrasto tra princìpi ed esigenze pratiche di salute pubblica, ma anche indirettamente tra libertà e autorità. E bisogna riconoscere che, più dei nascenti Stati liberali che ricorrono troppo spesso a multe salatissime, prefetti, questori, gendarmi e carceri, evita di cadere nel nuovo “autoritarismo scientista”, da un lato consigliando a tutti la vaccinazione per cercare di prevenire la malattie e la morte, ma d’altro canto rispettando opinioni dissonanti e rifiutandosi di punire severamente, multare o arrestare gli “obiettori di coscienza”.

In base ai documenti, la Chiesa non espresse mai avversione dichiarata per nessuna delle due forme di inoculazione del virus per la prevenzione dell’epidemia, come invece lasciano intendere il riportato sonetto del Belli e le infondate dicerie, perfino nel Novecento, su papa Leone. Quando alcuni Papi furono dubbiosi, non lo furono mai in modo drastico, ma molto moderato; mai vietando, ma limitandosi a garantire la libera scelta delle famiglie e assicurando il dovuto supporto dei medici, comunque sempre obbligati a vaccinare se richiesti. Diverso il caso di singoli ecclesiastici, predicatori, parroci, frati.

Eppure, ancora in pieno Ottocento persiste la residua contrarietà di minoranze, sia di religiosi sia di laici, che intendono giudicare e decidere unicamente in base alla propria coscienza.  Anzi, come mostrava già più d’un secolo prima la parabola altamente simbolica del conte Leopardi, parrebbe ormai che le più forti perplessità di fronte al nuovismo scientifico, almeno in materia di salute, siano paradossalmente più frequenti nelle classi popolari delle aree urbane e tra i moralisti laici o anticlericali, che della Chiesa.

Così, cedono le ultime resistenze religiose e laiche nella guerra contro il Variola virus, grazie al duplice ricorso alla Tradizione, sia pure riscoperta e studiata dai medici (variolizzazione), e alla moderna Scienza empirica che aveva tenuto d’occhio le mungitrici (vaccino): ma grazie anche alle pressioni verso la gerarchia dei tanti nuovi medici cattolici. Impegno che sarà lunghissimo: l’eradicazione totale è del 1981, quasi tre secoli dopo le prime osservazioni del medico italiano Pilarino sulla “femmina della Tessaglia”. La più grande vittoria della storia della medicina, e della medicina “empirica”, commenta oggi l’Istituto Superiore di Sanità.

Il vaccino ha costretto alla “modernizzazione” la Chiesa quanto Rivoluzione francese, Illuminismo e Industrializzazione?  Un’ipotesi, quella dello storico della medicina Leonello Manzi, suggestiva, ma esagerata. Forse ha segnato solo l’inizio d’un lento processo di “superamento del ruolo della Chiesa come Stato detentore di un potere temporale in grado di condizionare nazioni e popoli”, sostiene lo storico.

Certamente, se da questa nostra ricerca preliminare si può trarre una conclusione, non sembra affatto vero che di fronte ai problemi medici, morali e di libertà aperti dalla prima vaccinazione, i più anti-modernisti fossero i Cristiani, e i Cattolici in particolare. Anzi, va loro riconosciuto, in complesso, un prudente e saggio pragmatismo; visto che riuscirono a bilanciare come o più del mondo laico princìpi e opportunità, pietà e libertà individuali, senza ricorrere alla forza. Incomprensioni e geniali intuizioni riguardarono, piuttosto, l’intera società del tempo, scusabile per l’assoluta novità della prevenzione.

Nell’emergenza della pandemia tra Settecento e Ottocento, nel falso scontro tra morale e scienza, il buonsenso dei Papi, perfino dei più intransigenti, fa intravvedere una Chiesa che ricorre a quella parte del Logos che ha in comune con la tradizione filosofica greco-romana, con l’antica sapienza ebraica e col moderno pensiero laico-liberale. Cioè, quel principio di Ragione universale che determina il Mondo.

NICO VALERIO

Il Saggio è un totale rifacimento e ampliamento dell’articolo critico-storico di Nico Valerio sul vaccino visto nei Sonetti di G.G. Belli, pubblicato nel 2016, cioè quattro anni prima dell’epidemia del Covid: “Vaccino e Chiesa: storia curiosa. E lo diffusero due medici italiani”.

È consentita la citazione o la ripresa letterale di brani tra virgolette, soltanto citando l’Autore e il sito.

 

RIFERIMENTI

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BELLI GG. I Sonetti. A cura di Giorgio Vigolo. 3 voll., Mondadori ed. 1952, rist.1978.

BERCÉ YM, OTTENI JC. Pratique de la vaccination antivariolique dans les Provinces de l’État pontifical au 19e s. Remarques sur le supposé interdit vaccinal de Léon XII. Revue d’Histoire Ecclesiastique 103,2,448-466.  http://www.brepolsonline.net/doi/10.1484/J.RHE.3.178

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GODKIN G.S. Life of Victor Emmanuel II, MacMillan 1880, pp. XIII-XIV Introduzione.

INOIS G. Il prete e il medico. Fra religione, scienza e coscienza, Dedalo 2016.

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MANZI L. Vaiolo, vaiolizzazione, vaccinazione a Bologna dai primi del Settecento ai primi dell'Ottocento. Bologna 1968

PARINI G. L’innesto del vajuolo (1765), in “Le Odi, ed. critica a cura di Dante Isella, Milano, Ricciardi, 1975.

PORRO A., Luigi Sacco e la prima grande campagna di vaccinazione contro il vaiolo in Lombardia, 1800-1810. Confronti, 4, 2012.

RAYMOND JF., Querelle de l'inoculation, ou Préhistoire de la vaccination, Libr.Philosophique J.Virin, Paris, 1982.

SOMEKH rav A Moshe. Vaccino anti-Covid, cosa dice la Halakhah. Moked, 19 gennaio 2022. https://moked.it/blog/2020/12/31/vaccino-anti-covid-cosa-dice-la-halakhah/

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VALERIO N., Vaccino e Chiesa: una storia curiosa. “Il Mondo del Belli”, 2 agosto 2017. https://mondodelbelli.blogspot.com/2017/08/vaccino-e-piu-reazionario-il-papa-o-il.html

VERRI P., Sull’innesto del vaiuolo, Il Caffè n.34 e 38, 1766) http://illuminismolombardo.it/testo/il-caffe-tomo-ii/ .  “Si tratta o di lasciar perire o di conservar la vita alla decima parte del genere umano”.

AGGIORNATO IL 7 SETTEMBRE 2022

23 ottobre 2021

Coronavirus: gli errori di sanitari e politici, e il ricorso all’autoritarismo.

Mai in tempi recenti un virus, venuto da chissà dove o prodotto da chissà chi, aveva cambiato così tanto la nostra vita come il Coronavirus, rivelando – come il più terribile degli “stress test” – la vera natura e solidità di Nazioni, Stati, sistemi politici-economici e uomini, a maggior ragione gli insicuri Italiani, paurosi e a poco agio con la Scienza.

In Italia, dove dal famigerato patto Veltroni-Berlusconi sul bipolarismo si scimmiottano gli Stati Uniti, non ci sono più, purtroppo, i seri partiti ideologici d'una volta, che su un virus non si sarebbero certo divisi (come non si sono divisi in Europa) e nell'affrontarlo sarebbero sicuramente stati più efficienti, senza ricorrere a ridicoli e controproducenti divieti (v. una norma a caso nel grafico accanto), e senza ostentare divise di generali per impressionare casalinghe e pensionati che "si fa sul serio". Per ridurre gli effetti devastanti delle terapie sbagliate e delle chiusure indiscriminate sarebbero bastate, oltre alle autopsie precoci (vietate dal ministro Speranza, v. oltre), le sensate misure di controllo discreto e "a costo zero" degli assembramenti elencate nel poster grafico di colore azzurro, v. oltre).

E' vero che i Cittadini hanno reagito in modo diverso a seconda delle simpatie politiche? Sulla pandemia e sulle misure restrittive i due poli fittizi della democrazia di massa, la Destra e la Sinistra, hanno preso spesso una diversa posizione, più marcata tra i Cittadini simpatizzanti che tra i dirigenti. Quelli di Sinistra si sono mostrati intimoriti, conformisti, quando non zelanti, prendendola sul serio e praticando alla lettera distanziamento e protezioni igieniche. Quelli di Destra, più spavaldi, hanno ostentato indifferenza, disobbedienza e talvolta un negazionismo che ricordava quello di Trump e Bolsonaro. Perfino che ci siano stati più morti totali dell’ultimo anno senza pandemia hanno contestato sul web. Per la verità in alcune Regioni è stato proprio così: dove il Covid non ha infuriato, come nel Lazio, la chiusura delle attività ha ridotto le morti per altre cause, dagli incidenti stradali agli infarti. Effetti benefici collaterali, ma locali.

Ma che informazione, che dibattito c’è stato sul web? Puntuale e ricchissimo (compresi documenti stranieri altrimenti introvabili), superiore in quantità e particolari a Tv e giornali; peccato che è stato ad alto tasso di faziosità, con poca selezione in alcuni casi tra fonti serie e invenzioni di propaganda. Non ho avuto tempo per rispondere a tutti gli interventi di amici, conoscenti e sconosciuti sul tema. Ricordo, però, che la difficoltà di dibattito sulla pandemia, o peggio la censura sul dibattito (si è verificata più volte su Facebook e altrove) hanno imposto la “voce ufficiale” del Governo e delle Autorità Sanitarie, un nuovo “politicamente corretto”. A cui si è contrapposta logicamente, accanto ad antitesi fondate, una raffica di notizie infondate degli obiettori. Un male contro l’altro. Sempre la censura porta a questo.

Invece, dibattito ordinato e rispettoso, dialogo, critiche anche durissime e polemiche sono fondamentali in un sistema liberale, tanto che se mancano o sono vietati anche questo viene meno. Fatto sta che sul Covid non sono mancati mistificazioni, manipolazioni, esagerazioni, faziosità, estremismi da ambo le parti: i fautori della Sinistra difensori a spada tratta del Governo e degli onnipresenti virologi-epidemiologi in Tv (che hanno detto di tutto), e i fautori della Destra critici o super-critici, con frange consistenti di No-Vax e No-Pass. Comunque ammetto che il contributo dei critici è stato determinante per conservare un minimo di dibattito liberale e libertà di pensiero sulla scienza, la medicina pratica e le misure autoritarie di Ordine Pubblico suggerite spesso dagli stessi medici o epidemiologi..

Se solo la gente sapesse selezionare le notizie! Consiglio sempre di fare da filtro a quello che si sente o si vuole dire, perdendo solo pochi minuti per documentarsi sulle migliori fonti sia pure del web, non sul primo post o blog a caso. Nelle discussioni, nelle polemiche dirette – commenti e chat – sarebbe utile usare un trucco del metodo socratico descritto da Platone, sconosciuto in Italia, Paese in cui non si sa discutere: stare esattamente alle parole ultime dette dell’interlocutore, e solo su quelle concordare o dissentire; non parlare d’altro o di cose laterali, precedenti o di tutto.

Ma la novità è l’ aggiornamento del rapporto ufficiale sui decessi da Covid, che riserva molte sorprese a chi non aveva seguito i precedenti aggiornamenti.

L’ULTIMO RAPPORTO DELL’ISS (Istituto Superiore di Sanità) sui decessi totali da coronavirus riporta uno studio su centinaia di cartelle cliniche da cui si ricava che sui 130.468 decessi registrati dalla fine di febbraio 2020 solo 3.783 (appena il 2,9%) era dovuto al Covid in sé. Le altre 126.685 morti erano dovute alle gravi e plurime malattie preesistenti che i pazienti, per lo più anziani, avevano prima di essere colpiti “anche” dal Covid, fino a 2, 3, addirittura 5 malattie gravi. In particolare, il 65,8% dei morti registrati in Italia come “morti da Covid” era in realtà malato di ipertensione arteriosa (pressione alta), il 29,3% di diabete, il 24,8% di fibrillazione atriale. il 17,4% di malattie polmonari, il 16,3% aveva avuto un tumore negli ultimi 5 anni; il 15,7% aveva scompenso cardiaco, il 28% una cardiopatia ischemica, più di 1 su 10 era obeso, più di 1 su 10 aveva avuto un ictus, il 23,5% era in stato di demenza, altri ancora avevano malattie gravi al fegato, erano in dialisi o avevano malattie autoimmuni. Su quei poveri malati indeboliti e con scarse difese immunitarie il coronavirus deve aver dato il colpo di grazia. E probabilmente lo avrebbe fatto anche una normale polmonite o una banale influenza. Infatti erano migliaia ogni anno “normale”, cioè prima dell’attuale pandemia, le morti per queste due malattie.

Dopo aver dato la Parola ai dati del Rapporto aggiornato dell’ISS, per evitare equivoci grossolani o semplificazioni manichee, preciso come la penso io sull’intera faccenda.

Il CORONAVIRUS SI E’ MOSTRATO NON PERICOLOSO, PERICOLOSISSIMO, non è un’influenza qualunque (probabilmente è stato programmato dall’uomo: v. studi in Australia e Usa, e pareri di due premi Nobel ecc); perciò non andava né va preso sottogamba. Anzi si possono accusare Regioni, Governo, Tecnici, Scienziati e Sanitari italiani nel 2020, e in alcuni casi anche dopo, di averlo in un primo momento aggredito poco e male, senza prevenzione (non avevamo un Piano aggiornato, come altri Paesi europei, i posti letto nei Pronto Soccorso degli Ospedali erano stati ridotti per insensate "economie" dalla Sinistra e dalla Destra anni prima), né attivazione di Informatori sui viaggi aerei dalla Cina (colpa anche di Intelligence e Sanitari doganali, forse, se ancor oggi, di nuovo da Orio sul Serio, senza controlli, sono potute entrare in Italia le larve della temibile zanzara coreana che resiste all’inverno). 

E poi, al contrario, entrata nel pànico, l'intera classe politico-scientifica-sanitaria ha deciso di pigiare il pedale dell' allarmismo, con una imponente, spesso ottusa, campagna psicologica e di divieti (quasi mai ex lege, più spesso per Decreti ministeriali o Regolamenti), organizzando una stretta di freni autoritaria mai vista prima, ricorrendo anche a pletorici Comitati Tecnici e Commissari unici di cui si è interessata anche la Magistratura. E a completare la messiscnea dello Stato di Emergenza in cui tutto, ma proprio tutto, doveva essere previsto e normato, all'italiana, non poteva mancare un militare in divisa, un generale degli Alpini con tanto di penna sul cappello, spettacolo altamente allusivo e simbolico che a parte le alluvioni e i terremoti non si vedeva dai tempi del Fascismo.

INADEGUATO IL GOVERNO CONTE-SPERANZA (che sarebbe meritevole d’inchiesta). Regioni e Governo all’inizio (febbraio 2020), come imbambolati, hanno riflessi lentissimi e tentano di negare la gravità dell’epidemia, su pressione dei produttori della Lombardia. Così si svegliano troppo tardi, con un mese di ritardo, quando il Covid lasciato libero è ormai senza freni e i morti cominciano a essere molti. E ai cittadini che consigliano? Nulla di concreto ed efficace. Non obbligano immediatamente, al limite inviando i carabinieri, i medici di base a curare i cittadini con i farmaci ordinari nei primissimi giorni, quando anche il Covid (è dimostrato da studi e medici seri) è curabile in casa o al telefono-email nella maggior parte dei casi, inviando invece tutti in ospedale dopo la famigerata raccomandazione “Tachipirina (oltretutto farmaco sbagliato: abbassa la febbre che è utile difesa del corpo, e non è un anti-infiammatorio come l’Aspirina) e vigile attesa”, e piegandosi alla vergognosa paura dei Sanitari Ospedalieri, terrorizzati – poverini – che i Pronto Soccorso si riempivano (vergogna: come se la funzione dei PS fosse di essere vuoti, come se i soldati piangessero per i troppi nemici o i Vigili del Fuoco si lamentassero dei troppi incendi), mentre interi piani di Ospedale erano-sono non utilizzati. In realtà i PS in Italia hanno medici inesperti o disorganizzati (ne sappiamo qualcosa anche personalmente) e bisogna formare nuovi sanitari seri e togliere la Sanità alle Regioni.

QUANDO SI FECE DI TUTTO PER NON FAR STUDIARE IL COVID ED EVITARE LE MORTI. Gravissimi gli ordini sbagliati, i comportamenti conformistici e le omissioni del Ministero della Salute retto da Speranza, inappropriato e zelante dominus di questa infelice vicenda sanitaria italiana, che proprio quando il virus comincia a colpire duramente emana l’incredibile circolare n.11285 in cui invita medici e magistrati a non effettuare autopsie sui cadaveri. Per la verità, segue ciecamente l’ottusa direttiva OMS che si preoccupa delle precauzioni igieniche, anziché della salute dei malati e della ricerca! Nelle pandemie infettive, infatti, le autopsie sui cadaveri sono altamente pericolose: i virus possono contagiare il personale e diffondersi ancor più. Peccato, perché ricercatori medici e inquirenti legali avrebbero scoperto subito che non di polmonite o insufficienza polmonare, cioè di virus, morivano a migliaia i colpiti dal Coronavirus, ma di diffusa embolia trombotica, provocata nelle vene dalle abnormi reazioni immunitarie del corpo. E quindi servivano ben altri sistemi terapeutici, altri medicinali, magari più ordinari: in certi casi bastavano cortisone ed eparina. Altro che soli respiratori! A saperlo. Ma il primario Gianatti e il collega Sonzogni dell’Ospedale Papa Giovanni che eroicamente fanno di testa loro e si mettono a fare migliaia di vietate autopsie, lo scoprono e informano la comunità scientifica (pochi mesi dopo apparirà un loro studio su Journal of Clinical Medicine). Meriterebbero un premio: gliel’ha conferito Mattarella? Crediamo di no. Ad ogni modo, bella figuraccia internazionale del Governo italiano e dell’OMS che hanno ottusamente decretato il lockdown anche della… ricerca, ritardando lo studio del Covid. Senza quella direttiva chissà quante migliaia di ammalati di Covid si sarebbero salvati nella prima fase. Nel suo piccolo, sta cercando di appurarlo il PM di Brescia al quale i parenti di molti malati si sono rivolti.

“E ALLORA GLI ALTRI PAESI?”. L'Italia è stata paradossalmente il modello per tutti i Paesi occidentali semplicemente perché il primo paese d’Europa colpito dall'epidemia proveniente dalla Cina (via aeroporti di Bergamo-Orio al Serio e di Milano), e anche perché conoscendo l'intelligenza e la capillarità della Sanità italiana (stereotipo ormai sfatato proprio per come ha trattato la pandemia nella Penisola) gli altri Paesi ci hanno imitato alla lettera per risparmiare tempo, salvo poi rettificare e andare per la propria strada quando hanno visto che i nostri conti di malati e deceduti erano eccessivi, da Paese del Terzo Mondo, solo perché i sanitari conteggiavano come Covid tutti i morti anziani con molte patologie gravi. Questo significare “gonfiare” il numero di decessi. Per quale scopo ormai è chiaro. In Germania invece (intervista del 2020) i malati gravi con varie patologie che morivano di Covid non venivano iscritto nel conto Covid.

RESTRIZIONI E DIFESA DAL CONTAGIO. Regioni e un Governo di politici per caso, paurosi ma furbetti, ha approfittato del panico tra sanitari (ripeto: inammissibile, solo italiano, anche perché la pressione sugli ospedali era stata provocata dalle stesse regole sbagliate date da Sanità, Regioni, Governo) e popolazione, specie nel 2020, per imporre misure drastiche a tutti, senza sottilizzare, con logica militare ottusa. Misure per lo più stupide e autolesioniste che hanno distrutto la economia e i diritti (v. video di elicottero delle Forze dell'Ordine che insegue un uomo che corre da solo in una spiaggia deserta e quindi totalmente priva di rischi). Tale è stata la cattiva informazione data a Cittadini, nonostante che la Televisione parli ogni giorno di Covid, che ancor oggi ci sono guidatori in auto e passanti isolati con mascherina o con inutilissimi guanti, mentre in autobus pubblici non un cartello è stato mai affisso per invitare i passeggeri a non parlare e ad aprire i finestrini (misure più che sufficienti a ridurre molto il rischio). Ricordo anche gli “esperti” tv, laureati, che invece di dare questi consigli fondamentali, prescrivevano di “sanitarizzare” le superfici, anziché stare lontani, stare all’aperto (parchi, monti e spiagge soprattutto) e soprattutto non parlare addosso agli altri, cose ancora non chiare alla popolazione più ignorante d’Europa, specie in cose scientifiche (e gli stessi laureati risentono di questa depressa base culturale: si sono viste certe inquietanti facce o espressioni da scemi…J).

CONFORMISMO GENERALE E DIRITTO AL DISSENSO. Come tutti i Paesi depressi e ignoranti da secoli, la sorda, sotterranea, voglia di autoritarismo, di uno solo che comanda (la Storia dice tutto: non per caso solo in Italia ci sono stati in sequenza Fascismo con 20 anni di Dittatura, 40 anni col più forte Partito Comunista d’Occ., ricorrente qualunquismo anti-Politica con Giannini-Berlusconi-Bossi-Di Pietro-Grillo, ecc), ha subito creato un diffuso movimento conformista di totale adesione ai divieti anche balzani e all’autorità, qualunque fosse, che ha meravigliato gli stranieri, abituati alla disobbedienza italiana, e li ha shockati (“oddio, se perfino gli italiani casinisti obbediscono disciplinati come un sol uomo, perdendo migliaia di miliardi, vuol dire che la pandemia è terrificante”). Vi ricordate i bambini, le maestre elementari, le casalinghe con gli striscioni al balcone o le spille “io resto a casa” (stupida misura che va bene solo per i singoli, non per famiglie di 2-3 generazioni compresi vecchi deboli e bambini che veicolano facilmente virus). Il risvolto del conformismo è la emarginazione del dissenso e della critica, l’ avversione, l’ odio per chi fa obiezioni anche razionali, anche portando prove di altri medici, premi Nobel, catalogati in blocco – cose vere e cose false – come sottocultura, rimbambiti, fake-news, anti-scienza, rigurgiti di destra, fascismo, tutte etichette a loro volta fasciste che in Italia, paese unico al mondo, si appioppano alle minoranze, anziché alle maggioranze come nei paesi civili. Perfino in guerra c’era stato in Italia più dialogo e dibattito tra esperti o tra stato e popolo, o tra vari gruppi del popolo. E questo conformismo ha toccato tutti i mezzi di comunicazione: tv, giornali, web, social. Si è permessa addirittura la censura sul dibattito su Facebook, istituendo (e il partito democratico in Italia si è distinto come il primo fautore di censure, non per caso, provenendo dalla sinistra Dc e dal Pci) addirittura commissioni di controllo sulle immagini e notizie pubblicate. Io stesso sono stato censurato solo per aver pubblicato innocenti foto di infermiere inglesi ai tempi della spagnola. Ora si arriva addirittura alle provocazioni e infiltrazioni di stato, rendendosi utili idioti pronti alla bisogna quei minimi e irrilevanti gruppuscoli di palestrati col braccio teso che imitano la ridicola “presa del campidoglio” dei fans di Trump a Washington.

Inoltre l’assurda volontà di vaccinare tutti, quasi di forza, il 90 o 100% della popolazione, mentre mesi fa si parlava del 70%. Se non basta neanche il 70%, che è tanto, se si susseguono varianti del virus (nei manuali hanno ricordato i premi Nobel, tra cui Montagnier, c’è scritto che non si vaccina in corso di pandemia, ma prima che scoppi, perché si formano numerose varianti più aggressive), vuol dire che questa pandemia non può essere debellata come l’influenza stagionale o l’epatite, dobbiamo abituarci a coabitare col Coronavirus, senza isterismi, con la massima prudenza individuale, cercando il più possibile di convivere bene.

Poi il PASSAPORTO VERDE più pervasivo e autoritario per svolgere ogni attività importante (già escluso esplicitamente dall’Unione Europea, quindi anti-europeo), vera discriminazione anti-costituzionale, e la vergognosa reiterazione continuata del decreto di stato di emergenza, anch’essa unica tra i paesi liberali. E né il Capo dello Stato (che impose l’avv. Conte), né la Corte Costituzionale hanno emesso il più flebile vagito.

E ALLORA? Quindi, in sintesi, da divulgatore scientifico, amante della Salute e della scienza (sed magis veritas), e da liberale doc, sono in teoria pro-vaccini e per il diritto di uno stato a vaccinare la popolazione. Ma sono assolutamente per la totale libertà dell’individuo adulto, tanto più in presenza di malattie, di vaccinarsi e far vaccinare i suoi figli, o no.

Anche perché questo vaccino è diverso dai soliti vaccini che sono solo “parti di virus” o “virus uccisi o attenuati” (virus naturali, questo non si sa, sembra modificato ad hoc, hanno detto due Nobel) e lasciano fare tutto alla naturale risposta immunitaria del nostro corpo. Quindi sono favorevole perfino come naturista.

Questo c.d. vaccino è invece un vero farmaco che agisce sulla genetica di ogni cellula e che può dare a cascata rari ma strani effetti collaterali come ictus e trombosi (che i veri vaccini non danno, semmai a chi è soggetto shock anafilattico e poco altro; a me il vaccino antinfluenzale e anti-pneumococcico provoca spesso una brutta bronchite-polmonite), e quindi è giusto che ogni cittadino o malato valuti “se” vaccinarsi o no.

Ugualmente sono per la totale libertà di scienza e di critica, anche radicale, purché non-violenta, e contro ogni autoritarismo o censura atti che devono, anzi, essere puniti severamente come attentati alla costituzione ecc. Nessun dissidente deve essere perseguito.

Stato e regioni devono educare, convincere con la corretta informazione, veritiera, pluralista e non faziosa e, non con la repressione. E non si basino sul consenso dei produttori o di estremisti liberisti alle maniere forti: il loro, mascherato da altruismo, è egoismo per fare profitto a tutti i costi [questo può sembrare in contrasto con la mia denuncia – sopra – dei troppi danni economici, ma una piccola riduzione di lavoratori a causa di qualche defezione è sempre meglio della indiscriminata chiusura totale che c’è stata].

Piuttosto, i politici pensino a riorganizzare preventivamente la Sanità nel modo migliore, selezionando in modo diverso i medici di base, e non chiudendo ospedali e pronto soccorso (v. Per citare solo il Lazio quanto hanno fatto sinistra e destra). Inoltre, tutti questi anziani molto malati e debilitati morti di Covid di cui parla l’ISS, tenuti in vita artificialmente con i farmaci, non sono solo “dovuti alla vecchiaia” come ripetono per comodità i medici, ma la conseguenza della mancata prevenzione o educazione (compreso ISS) di stato, regioni e medici. Le malattie non bisogna aspettare che si manifestino in forma grave per poi tentare, fingere di curarle, ma vanno evitate, prevenute per quanto possibile. Stile di vita e alimentazione corretta fin da giovani possono ridurre del 50% le malattie. Disincentivare i luoghi chiusi e inquinati, creare grandi parchi con molti alberi in ogni quartiere o paese, dove poter camminare per ore, dovrebbero essere la norma. Invece si pensa sempre all’automobile e ad altri veicoli diseducativi (bici e monopattini elettrici). E medici, nutrizionisti, preparatori sportivi, amministratori locali, stampa e Tv non danno ogni giorno indicazioni pratiche, anzi, sono diseducativi.

E se lo Stato non sa prevenire o educare, “grida vendetta al Cielo” che quella durezza che non si era mostrata contro il Covid al suo apparire, né contro i medici di base vigliacchi tappati in casa, né contro le Autorità Sanitarie che avevano prescritto ai malati di restare a casa in vigile attesa e di “non recarsi nello Studio del medico di famiglia”, né contro i Sanitari ospedalieri che lamentavano l’affollamento pensando più alla propria comodità di lavoro che alla salute dei Cittadini, non può essere applicata contro chi non si vaccina o protesta giustamente contro il Passaporto anticostituzionale e anti-Europa.

AGGIORNATO IL 24 OTTOBRE 2021