01 marzo 2006

SCRITTORE? Professione impossibile, con questi Italiani ignoranti

Ken Follett, autore inglese di bestseller, strappa anticipi da 600 mila euro e incassi di sei milioni di dollari., stappa costoso champagne ogni giorno e viaggia su una bentley rossa. E gli italiani? Se sono esordienti, al massimo 5000 euro, scrive la Jacomella sul Corriere. E, aggiungiamo noi, anche quando hanno anticipato solo 500 o 1000 euro per le edizioni tascabili, gli editori italiani li vogliono indietro, se il libro non vende, quasi sempre per colpa loro (brutte copertine, sottotitoli sbagliati, carta e stampa pessime, nessuna presentazione o pubblicità, prezzi eccessivi, libretti inconsistenti con poco testo e grandi bordi bianchi a 13 euro…).
Insomma, i nostri scrittori, scrivono non per fare la bella vita ma per sopravvivere. Ci sono i casi eccezionali, come i guadagni una tantum di Eco (gli offrirono un miliardo di lire) o della Fallaci. A Mantova, nelle giornate del Festivaletteratura, qualche urlo e molti spintoni per arrivare primi all’autografo. "È la rockstarizzazione dello scrittore. Quando ero bambino, lo scrittore era uno sfigato: oggi invece ci sono autori, anche tra gli italiani, percepiti come pop star". Alessandro Piperno, autore di "Con le peggiori intenzioni": "Mi dissero che John Grisham era arrivato con il suo aereo privato, io stavo in un albergo a due stelle". Una frase secca che racconta l’abisso tra due mondi: "Da noi esiste un solo bestseller writer, Andrea Camilleri, il catarroso siciliano preso in giro da Fiorello. Peccato che per apprezzarlo bisogna avere un traduttore accanto di siculo-italico.
"Una differenza tra i mercati simile a quella che c’è nel cinema: se si pensa a quanto guadagnano un attore di Hollywood e uno italiano...", è l’unico flebile tentativo di spiegazione della giornalista. Non è un po’ poco? Peccato, l'articolo poteva essere interessante, ma evidentemente l’autrice si è censurata. Ha lasciato nei tanti del computer la frase tabù in Italia: gli Italiani non leggono, sono un popolo di ignoranti e semi-analfabeti. Ma se anche fossero colti e fibliomani, il mercato italofono è ristretto rispetto a quello anglofono. Questo il concetto base, il solo che secondo noi avrebbe autorizzato l'articolo.
Si "difende" l’autrice: "Autocensura? Quantomeno fuorviante. Forse le è sfuggito il passaggio sulla "differenza tra i mercati"….E poi era un pezzo di costume su come diventare ricchi scrivendo libri, non un’inchiesta a tema …Nessuna censura sul fatto che gli italiani leggano poco: ne abbiamo scritto moltissime volte (anche la sottoscritta) e continueremo a scriverne…. Infine, lei dovrebbe sapere che taglio e obiettivi di un pezzo sono di stretta competenza della direzione".
No, la frase sul mercato non ci era sfuggita, ma è troppo debole. Un’occasione ideale per ricordare che "gli Italiani leggono pochissimo". Perfino i laureati. E il fastidio per la lettura è confermato dalla pretesa di romanzi o articoli brevi, brevissimi, o comici o "televisivi", cioè scritti o commissionati da un personaggio Tv o comunque famoso. Ed è eloquente - ma questo ormai tocca ogni società di massa - anche il rifugio nell’iperuranio del romanzo, della fantasia pura, della favola (forme infantili), anziché nella storia, nella saggistica, nella biografia, nella critica delle idee, che sono le forme più evolute e mature di lettura perché coinvolgono di più le zone cerebrali corticali. Forme di lettura che i colti antichi praticavano. Del resto, i "romanzetti" erano vietati dai papà alle figlie nell’800, "perché mettevano in testa le più strane fantasie", non predisponendole, tutte prese dai sentimenti stereotipi e da una psicologia fittizia, a misurarsi con la realtà vera. Prima di Walter Scott (1771-1832) ben pochi erano i romanzi in circolazione.