21 novembre 2006

PELLICCE. L’inutile strage per un mito: la “maliarda felina”. O la femmina oca?

danity-kane_11503_w460 DONNE E PELLICCE

La manìa tutta italiana di ostentare pellicce con qualsiasi clima e condizione atmosferica provoca stragi ingiustificate

VERONICA LIO
(anagramma di Nico Valerio),
Scienza 2000, novembre 1988

Spalle nude occhieggianti tra il pelo fulvo d'una volpe rossa, cosce ben tornite che invitano dallo spacco d'un manteau d'ermellino, fondi schiena alla «violon d'Ingres» carezzevolmente fasciati da una cintura di martora, colli alla Modigliani lussuriosamente protetti da revers di visone. Quando a novembre arrivano i primi freddi, gli uffici pubblicitari dei grandi e piccoli pellicciai italiani perdono la testa. Una donna che non ha una pelliccia si deve sentire una piccola fioraia delle Halles, una crocerossina sul Piave, una orfanella delle Suore della Carità. Sulle pagine a colori delle riviste di moda, sulle passerelle, nelle vetrine, i modelli femminili più spesso mostrati sono le Donna-belva, la Maliarda-felina, la Fanciulla-tigre, la nuova Venere-volpina. Ma chi guarda attentamente tra le sbarre di questo Gran Serraglio delle fiere esotiche, scopre con delusione che di tanto giardino delle meraviglie in realtà non resta che una sola e abusatissima specie zoologica: la Femmina oca.

Marina Ripa di Meana nuda contro pellicce IFAW Infatti, è spesso ripetuto tra gli amici degli animali che occorrono quaranta bestie per fare una pelliccia, ma una sola per indossarla.

Del resto, il sistema termoregolatore del corpo umano è tale da poter egregiamente funzionare con qualunque clima terrestre, anche il più rigido, purché – paradossalmente – non venga viziato o compromesso da un eccessivo vestiario. In Amazzonia, con un clima per molti mesi simile a quello italiano, le popolazioni autoctone più primitive hanno sempre vissuto in totale nudità. E sì che laggiù di «belve» dotate di mantello peloso, ammesso che questo sia realmente la freudiana tendenza umana, ne avrebbero in abbondanza.

image-153-jenniferlopez.Vanity Fair Ma piace davvero la donna pelosa? E che cosa hanno da dire gli psicologi di questa inquietante tendenza, evidentemente compensativa, al feticismo sessuale?

La donna italiana ha il vantaggio di godere di inverni miti. Ora, col clima piovoso e umido di novembre, che tende a poco a poco al freddo più asciutto dell'inverno, l'italiana media può contare sull'efficace strato coibente degli spessi cappotti di lana, lavorata in mille modi diversi, dei leggeri ma caldissimi mantelli di loden, delle sciarpone avvolgenti, oppure su una seconda pelle – questa, però, tanto più igienica quanto meno è aderente – di «dolce vita», camicie e maglioni di cotone, seta, lana. L'importante, dal punto di vista della salute, è che il corpo respiri in qualche modo, che cioè sia sempre possibile uno scambio di calore, una minima dispersione. La pelliccia, invece, è troppo compatta e spessa per consentire questo benefico scambio termico tra corpo e ambiente. Sì, è vero, protegge passivamente dal freddo, ma non protegge attivamente. Impedendo al calore corporeo di trovare sfogo e perfino di prodursi, ci rende inermi di fronte ai colpi d'aria e al minimo abbassamento di temperatura, una volta che la pelliccia viene tolta. Ed ecco, quindi, il rischio grave di raffreddamenti, influenze, nevriti, abbassamento delle difese legate al meccanismo di compensazione termica, debolezza organica, ecc.

tumblr_l8z7t9OTSq1qd7ezeo1_500 Ma i danni maggiori le pellicce li fanno alla natura esterna. In un passato recente erano tutte ottenute da animali selvaggi, catturati con mezzi più ignobili e crudeli per non rovinarne il manto. Oggi questa tecnica è meno usata, ma non è affatto scomparsa. Un lungo bastone di ferro incandescente viene infilato nell'ano del povero animale, fino a distruggerne gli organi interni. Nel gelo invernale, tra le nevi del Nord Europa, l'ermellino selvatico viene attirato da un tondino di ferro ricoperto di uno strato di grasso animale, di cui il ricercatissimo mustelide è ghiotto. Dopo averlo leccato, però, l'animaletto vi resta penosamente attaccato per la lingua, a causa del gelo. Non può più staccarsi, per quanti disperati sforzi faccia. Molti muoiono così, di dolore, di fame e di freddo; alcuni per dissanguamento, dopo essere riusciti urlando di dolore, a strapparsi la lingua. Anche le tagliole acuminate nascoste nei boschi fanno vittime. Azzannate irrimediabilmente ad una zampa, molte innocue bestioline preferiscono tagliarsi da sé con i denti i tendini dell'articolazione e lasciare all'ingordigia dei trafficanti di pelli solo la propria zampa. Ma avranno pochi giorni di vita: muoiono in poche ore per la perdita di sangue, oppure sono catturate dagli animali predatori. Senza contare le violenze degli allevamenti intensivi, dove gli animali vengono anche scuoiati vivi.

bikinifour-31801eb Per questo, non appena l'hanno saputo, molte donne sensibili e intelligenti hanno cominciato a dire «no» alla pelliccia. Perfino tra le attrici e cantanti, come Ornella Muti, Agostina Belli, Gianna Nannini, Marina Morgan, Lea Massari. Un tempo rifiutate da tutte, perché volgari e antiestetiche, oggi le pellicce sintetiche o le imitazioni realistiche in lana, seta, cotone e altre fibre tessili, hanno raggiunto livelli di bellezza ed eleganza impensabili solo dieci anni fa. E, avendo acquistato un valore intrinseco, costano anche parecchio. Prodotte fino a ieri da piccole ditte specializzate, soprattutto in Toscana, ora le pellicce non-violente vengono presentate dai grandi stilisti (Armani, Moschino, Castelbajac, ecc.). Hanno successo e piacciono alle donne, anche perché sono più duttili: possono essere tagliate, colorate e trattate con maggior libertà e fantasia creativa. Se proprio dobbiamo mascherarci da animali della foresta, almeno facciamolo in modo incruento.
VERONICA LIO

IMMAGINI. 1. Attiviste di PETA contestano le pellicce: meglio nude. 2. Marina Ripa di Meana in un manifesto IFAW. 3. Jennifer Lopez con una pelliccia vera per Vanity Fair: contestatissima. 4. Pelliccia e Kitsch. 5. Bikini di pelliccia.

19 novembre 2006

CORRIERE e giornalisti all'italiana, tra editori impuri e lettori marginali

I giornalisti italiani e i loro editori stanno facendo di tutto per disamorare i lettori. In Italia, per la scarsa alfabetizzazione dei lettori e un mediocre ceto giornalistico, i giornali sono sempre stati in crisi. O pessimi e volgari, o discreti ma per pochissimi. Gli editori, essendo tutti "impuri", cioé seguendo secondi fini politici ed economici, hanno colpe gravi. Ma sono il sindacato e i giornalisti stessi, in gran parte raccomandati, figli di papà o legati al Potere, la pesante palla al piede che oggi impedisce paradossalmente sia un giornalismo di qualità, sia un giornalismo popolare e di massa.
Ecco alcuni brani, che presento di seguito, tratti dalla Newsletter di Claudio Sabelli Fioretti, a proposito della vertenza sindacale tra giornalisti ed editori:
"Il sindacato dei giornalisti non è immune da colpe. Come quasi tutti i sindacati italiani ha dimenticato per decenni i non garantiti occupandosi solo di difendere gli occupati e di migliorare le loro condizioni. I giornalisti sono stati quasi tutti ridotti a impiegati del desk, condannati a titolare notizie prese dalle agenzie, che riempiono pagine omogeneizzate, appiattite sulle fonti, ossequianti anche più del solito al potere politico, ispirate da tutto ciò che accade nei palinsesti televisivi, accodate a Rai e Mediaset, di fatto pubblicizzando e promuovendo il suo reale e pericoloso avversario, il video. Il giornalismo di inchiesta è praticamente scomparso, appaltato all'iniziativa quasi privata di qualche generoso e validissimo collega. In Germania alcuni anni or sono i dipendenti delle grosse fabbriche automobilistiche (e forse anche altrove) accettarono di guadagnare di meno in cambio di nuove assunzioni. Provate a fare questa proposta ai giornalisti italiani".
Bravo, condivido tutto: corporativismo editoriale contro corporativismo giornalistico. Ma è solo un piccolo aspetto. Bisogna aggiungere che il prodotto giornale si è degradato molto. E non solo per colpa degli editori, ma soprattutto di cattivi direttori e giornalisti. Il fatto che siano quasi tutti raccomandati, figli di papà o assunti per amicizia, e che si frequentino tra loro senza fare la vita dei comuni mortali, si fa sentire, eccome. La corporazione chiusa e snobistica dei giornalisti italiani, unici al mondo, è legata al Potere e fa la vita del potere. Nei Paesi anglosassoni non è così.
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Il panorama è desolante. Dai quotidiani (per parlare solo di questi) è sparita la cultura, la scienza, la critica, la saggistica, e ogni approfondimento (che per forza vuole articoli lunghi). Ed è grave, perché pochi ricordano che il giornalismo nasce storicamente come commento, critica, tesi, pedagogia sociale, non come cronaca, che agli Antichi proprio non interessava.
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Una sola cosa bella avevamo inventato in Italia, la terza pagina, e l'abbiamo cancellata. Ma questo non ha reso più agile, elegante, moderno, il quotidiano italiano, anzi. Oggi i quotidiani italiani sono brutti - alcuni orribili a vedersi già nella prima pagina - e soprattutto inutili.
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La politica è tanta (per quale motivo gli editori "impuri" italiani comprerebbero una testata, che è quasi sempre in perdita, se non per autodifesa, per ingraziarsi qualcuno, o fare do-ut-des attraverso le pagine politiche o economiche?), ma presentata come pettegolezzo. Ma le sentite le domandine che fanno i cronisti "politici" ai politici? Sapendo che è questo che vogliono i giornalisti per fare il pezzo, i politici si adeguano.
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C'è proprio una riduzione della "varietà biologica", si direbbe in ecologia. Si sono estinte alcune specie giornalistiche. Vent'anni fa esisteva ancora la critica musicale, per fare un esempio. Il jazz, per dire, recensito ad ogni concerto o festival. Dopo l'evento, naturalmente. Oggi è finito. I rari giornali che ne parlano pretendono un pezzullo pubblicitario "prima" dell'evento. Dopodiché, se il concerto non si tiene (è accaduto), resta impressa nella carta a imperitura memoria la recensione preventiva.
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Tutto è appiattito, banalizzato come in tv. Nei quotidiani, anche nel Corriere della Sera, ci sono troppo sport e troppa tv. E' assurdo che il CdS imiti in tutto i tabloid popolari. Il lettore di qualità comprava il CdS perché era - 30 anni fa - di qualità. Se è come gli altri giornali non lo compra più. E infatti oggi il CdS ha un pubblico analogo agli altri giornali: vuole molto sport e tv. Per forza, cari direttori ed editori del Corriere, il pubblico esigente voi lo avete già cacciato molti anni fa, ed ora - dopo la riforma degli ultimi anni - state cacciando anche la frangia medio-alta.
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I titoli sono spesso o futili o sbagliati, e evidenziano talvolta solo un aspetto marginale dell'articolo, sviando o disgustando il lettore. E il paradosso è che oggi gli articoli sono lunghi in media la metà di 20 o 30 anni fa, spesso troppo brevi e superficiali per esaurire il tema, ma "ritornano" spesso, cioè vengono ripubblicati con poche variazioni. Sempre allo stesso livello: superficiale, futile, incompleto. Chi, come me ha un poderoso archivio di ritagli (su pc e cartacei) se ne accorge subito: gli argomenti sono sempre gli stessi pochi.
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E ormai solo pochissimi articoli per testata valgono la pena dell'acquisto del quotidiano: un peso di carta zeppa di pubblicità e supplementi inutili di carta patinata, per non dire dei gadgets (ma questo è il meno: potrebbero in teoria convivere con giornali di qualità). Grafici e direttori senza idee hanno distrutto i giornali. Un esempio personale: 20-30 anni fa ogni numero del Corriere della Sera dava (a me che sono pieno di interessi) ben 10-20 articoli degni di essere conservati. Oggi, tra grafiche illeggibili e inutili che non aggiungono ma ripetono particolari dell'articolo, tabelle incomprensibili in corpo 8, foto rosseggianti inguardabili [ma sant'iddio, se la tecnologia per le foto sui quotidiani è ancora così arretrata, non mettetele 'ste foto, grafici e direttori-succubi!], titoli, sottotitoli, colletti, sommari e sommarietti, tra sport, pettegolezzi vip e televisione, è tanto se riesco a isolare 2-3 articoli belli o importanti.
Questo sull'ex "migliore" quotidiano italiano, divenuto ormai un giornale "popolare". Figuratevi sugli altri. Insomma, vale la pena comprare il quotidiano - si dicono in molti - se su internet trovi ben altro che quei 2-3 articoli?
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Altro che nuove assunzioni, caro Sabelli Fioretti. Qui in teoria bisognerebbe licenziare i due terzi dei giornalisti italiani, in effetti inutili o incapaci, e chiudere oltre la metà delle inutili testate. Senza contare la "fossa delle Marianne" del giornalismo italiano: i telegiornali, pubblici e privati. Nei quali, a vedere i risultati, basterebbero 10 o 20 giornalisti ciascuno. E dovremmo trovare una Thatcher capace di razionalizzare: da una parte un giornalismo raffinato, elegante, di qualità, di commento, più costoso (per pochi). Dall'altra i tabloid all'anglosassone, economici o gratuiti. Quindi è sbagliata e corporativa la puzza sotto al naso verso i "giornali da metropolitana".
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Concludo quasi come Catone: ci vogliono due farmaci urgentissimi: abolizione dell'Ordine dei giornalisti e abolizione di ogni provvidenza di Stato alla stampa, sotto qualsiasi forma: dalla carta alle cooperative.

12 novembre 2006

PAZZIE. Centro commerciale sulla vetta del Piccolo Cervino

Dal nuovissimo sito-blog che ho ideato e che curo personalmente per Italia Nostra riprendo una curiosa e inquietante notizia. Divertitevi:
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Allora avevano ragione le barzellette sugli svizzeri. D’accordo, l’idiozia è ben rappresentata ovunque, e anche noi Italiani modestamente ci sappiamo fare, ma questa della piramide con dentro ristorante, albergo, sala multimediale e "centro commerciale panoramico" (e ti credo…) quasi a "completare" la cima tronca del Klein Matterhorn, o Piccolo Cervino, per un Paese che di bello ha solo le montagne e perciò dovrebbe tenersele da conto, be’ è davvero madornale.
E la stampa, ottusamente, ad elogiare l’iniziativa. Con questo trucco il Piccolo Cervino "si alzerà di 117 metri e raggiungerà quota 4.000". Ma no. Ed è il Corriere della Sera, non Il Giornale del Popolo o il Berner Zeitung.. Non c’è una parola di perplessità, come se fosse normale, una trovata turistica da provare. Ma allora, perché pagare un giornalista? Basta far fare l’articolo da un computer. E dire - ma questo, l’articolista Stucchi lo ignora - che il giornalismo storicamente nacque per fare critica e commenti, non cronaca, che allora non interessava.
Voi direte, "pazzesco, però è in Svizzera". E no, perché la cima artificiale si vedrà anche dall’Italia, come "vanta" già ora l’ineffabile articolista. Sentite qua: "Per ammirarla, gli italiani non dovranno andare oltreconfine, ma basterà transitare dal Plateau di Cervinia per rendersi conto della meraviglia che avrà buon diritto di entrare nel Guinness dei primati. In pratica sulla vetta del Piccolo Cervino sarà costruita una piramide in vetro e acciaio alta 117 metri che terminerà con una piattaforma panoramica a 4.000 metri sul livello del mare. Nella piramide ci saranno ristoranti, spazi multimediali, e successivamente anche un albergo". E un parcheggio, no? Dopo questa frase, penso che sarete tutti d’accordo, eleggiamo l’articolista "svizzero ad honorem". Ammesso che non sia già svizzero di suo.
Certo, a quelle quote ci sono problemi, ammette il redattore. "Dal momento che a queste altitudini molte persone dormono male (a causa del ridotto contenuto di ossigeno nell’aria), all’interno dell’albergo si dovrà mantenere un’atmosfera pari a quella presente a 2200 m s.l.m. (come succede per gli aerei). Per entrare in questa sorta di universo chiuso gli ospiti dovranno passare in camere di compensazione. Sulle pareti esterne della vetta e della piramide, alta circa 90 metri (circa 30 piani), gli ascensori panoramici percorreranno i 190 m che separano la piattaforma sul ghiacciaio". E ancora: "La piattaforma sul ghiacciaio si trova all’estremità inferiore degli ascensori panoramici. I turisti potranno così ammirare da vicino crepacci e vette, un’esperienza che normalmente è possibile solo partecipando a escursioni guidate".
"Tutto è cominciato nel 2004 quando la società Zermatt Bergbahnen ha bandito un concorso per la riorganizzazione del Matterhorn glacier paradise. Sono stati presentati cinque progetti. Il consiglio di amministrazione ha scelto il progetto di Heinz Julen e Ueli Lehmann dopo avere realizzato uno studio di fattibilità tecnica. Il progetto è una vera sfida, in particolare dal punto di vista della statica. Il team di progetto è composto dal Capo struttura di Zermatt Bergbahnen, Christen Baumann, da Heinz Julen (artista), Ueli Lehmann (architetto), da geologi, esperti di statica, ingegneri e altri professionisti competenti".
Non un accenno alla follia dell'idea, alla dignità della Natura, alla "quasi Wilderness" irrisa più che violentata (il Klein Matterhorn è già antropizzato da masse di turisti che vi arrivano a bordo d'un trenino a cremagliera), soprattutto ai diritti del prossimo, di chi quella confusione e quell'artificio non vuole. E sì, perché tra le libertà dell’uomo c’è anche quella di poter godere e ammirare la Natura così com’è, immergendovisi in solitudine e silenzio. Silenzio e solitudine che, ne siamo sicuri, ci saranno perfino sul Piccolo Cervino, una volta lontani da ferrovia e funivia. Macché: solo strafottenza, volgarità e irrisione dei diritti di libertà degli altri. L’intera catena delle Alpi compromessa esteticamente, il Cervino - quello vero - deturpato per sempre, quell’obbrobio "finto", visibile a centinaia di chilometri. Il paesaggio cambiato per sempre. Nessuna fotografia, nessuna cartolina avrà più il paesaggio originale, naturale. E vedendolo da lassù, ne rideranno perfino i Marziani, che sforneranno nuove barzellette sugli svizzeri ...
Ma forse - a me lo potete dire, voi che sarete sicuramente più esperti di me in geopolitica - forse la piccola Svizzera, aizzata da Bossi, vuole dichiarare guerra all’Europa? Sì, come nelle barzellette. Vuole la guerra? E l'avrà.
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Nella foto: ecco come apparirà la cima artificiale del Piccolo Cervino col Centro commerciale (elaboraz. al computer)