06 gennaio 2007

LE MODE NELL’ARTE. Ma che mostra è, se un Caravaggio non c’è?

Molti luoghi comuni spingono la gente, per altri versi poco o nulla sensibile all’arte, a mettersi in fila per una mostra “caravaggesca”. Peccato che alcuni di questi siano inesatti, oppure totalmente falsi, talvolta propalati da avversari del pittore milanese (sì, nato a Milano, non a Caravaggio: ora abbiamo i documenti parrocchiali che lo provano). Ne parla in questo articolo lo studioso Alessandro Zuccari.

Ora il medico e cultore d’arte napoletano Achille della Ragione, col quale ho in comune non so più quanti interessi – e ogni tanto ne rivela uno nuovo, nuovo ai miei occhi, s'intende – mi invia una interessante nota che riguarda il Caravaggio, l’avventurosa attribuzione di una sua opera, ora finalmente in mostra.

Da "caravaggista" di complemento (nel senso che da adolescente disegnavo e dipingevo sempre in forte contrasto luce-ombra, facendo apparire quasi in bianco-nero anche il colore, e così tuttora disegno, e così “penso” la mia pittura virtuale), e quindi istintivamente attratto dai toni e dalle composizioni del Merisi, sono stato colpito dall’articolo del Della Ragione sull'ultima malattia alla moda: la "caravaggite".

Ma proprio come scuotevo la testa per le folle in delirio per Glenn Gould, il Modern Jazz Quartet, Mulligan e Malher; come mi sono divertito o irritato per le code chilometriche per Van Gogh, e il subitaneo entusiasmo di pubblico e critica per i ritrovamenti in un canale di Livorno di "teste di Modigliani" fresate col Black & Decker, così ora mi godo la sindrome della "caravaggite" che sta prendendo un po' tutti. Del resto, mancava alle folle invasate (critici e conoscitori compresi) un grande pittore italiano dei secoli passati.. Che ora, finalmente, si offre inerme e incolpevole ai suoi esteti visionari un po' fanatizzanti. E qui, la pacata verve dell'amico napoletano, senza strafare, li descrive a puntino. Titolo obbligatorio: "Le mode dell'arte. Ma che mostra è, se un Caravaggio non c'è?"
NICO VALERIO


"Il Caravaggio della Regina" [v. foto in alto], così è stato chiamato la Vocazione dei santi Pietro ed Andrea, il dipinto delle collezioni reali inglesi, adoperato per secoli come sovrapporta vicino ai devastanti fumi di un camino, prima che Maurizio Marini, tra i massimi conoscitori del pittore, lo facesse restaurare e lo attribuisse perentoriamente al Caravaggio.

Fino alla fine di gennaio il quadro è in mostra a Roma, accanto a quattro colleghi, anche essi ritenuti autografi del grande artista lombardo. Cerchiamo di approfondire la rassegna, adoperando molta cautela nei giudizi, per evitare la figuraccia alla quale si è esposto in questi giorni il nuovo cardinale di Napoli, annunciando la scoperta di un nuovo Caravaggio sotto una tela antica, scoprendo poi di aver avuto unicamente un’allucinazione.

Le allucinazioni non sono privilegio dei principi della chiesa, infatti nella mostra romana, allestita in alcuni locali della stazione Termini, a fare compagnia al celebre quadro inglese, vi sono altri dipinti ritenuti autentici da fior di studiosi, quali il Cavadenti, proveniente dalla Galleria palatina di Palazzo Pitti a Firenze, una scoperta di Mina Gregori, un’autorità indiscussa, che, in questa attribuzione è stata vittima della sindrome di Caravaggio, uno strano morbo che colpisce unicamente gli storici dell’arte. Si tratta del desiderio inconscio di scoprire un Caravaggio. Senza questa malattia non si spiegherebbe l’incauta attribuzione che negli anni non è stata accolta dagli altri esperti dell’autore. Vi è poi un San Giovannino che si abbevera alla fonte, che fu già presentato come proposta attributiva alla grande mostra che si tenne due anni fa a Capodimonte sugli ultimi anni di attività dell’artista e che già all’epoca sollevò più dubbi che certezze. Ed infine un Sacrificio di Isacco di una collezione americana, una tela interessante, potente, piena di luce abbagliante, con quel tizzone ardente per accendere le fascine, ma sulla quale si dovrà ancora studiare prima di accoglierla definitivamente nel catalogo ufficiale.

Ma passiamo alla star, al dipinto della regina, che costituisce senza dubbio un’opera estremamente interessante, anche se molto rovinata e ben poco hanno potuto fare i restauratori inglesi dove si era persa materia pittorica o dove le successive ridipinture si sono legate indissolubilmente ai pigmenti originari.

Il quadro è stato realizzato a Roma ad inizio secolo ed è entrato come autografo nelle collezioni inglesi già nel 1637, quando consulente della regina era Orazio Gentileschi, un esperto in grado di distinguere il grano dal loglio. Presenta numerosi pentimenti, rivelati dagli esami radiografici, per cui non si tratta di una copia come a lungo si è creduto ed il taglio compositivo è certamente caravaggesco, ma ricorda molto lo stile anche di alcuni seguaci di grande livello, come Bartolomeo Manfredi o alcuni caravaggisti francesi attivi a Roma in quegli anni, come Valentin de Boulogne o Nicolas Tournier.

Un’altra incertezza è sollevata dai colori così simili a quelli adoperati dai pittori emiliani contemporanei del Caravaggio ed attivi a Roma. Difficilmente, in brani sicuramente autografi, si riscontrano quelle originali tonalità di verde e giallo, di carminio ed ultramarino. Il volto di Gesù è quello di un giovane imberbe, in stridente contrasto con gli apostoli barbuti, una licenza iconografica in linea con la pittura rivoluzionaria amata dal maestro lombardo.

Una visita ad un quadro così discusso e che continuerà a far discutere si impone per studiosi ed appassionati. Un salto a Roma (fino alla fine di gennaio) ed ognuno sarà libero di giudicare con i propri occhi, senza dimenticare la sindrome di Stendhal, resa celebre dal film di Dario Argento, che pare colpisca unicamente i soggetti predisposti, in contemplazione davanti ad un Caravaggio. E chi vorrà confrontarsi col sottoscritto, lo potrà fare sabato 20 gennaio alle ore 12,30, in occasione della nona tappa delle visite degli Amici delle chiese napoletane.
ACHILLE DELLA RAGIONE

4 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Dubbi condivisibili
Le incertezze attributive segnalate fin troppo cautamente nell'articolo mi trovano pienamente concorde
Sindrome di Caravaggio
Il titolo più azzeccato del pezzo sarebbe stato la sindrome di Caravaggio, che colpisce soprattutto i grandi storici dell'arte

7 gennaio 2007 alle ore 14:49  
Anonymous Anonimo said...

Pareri diversi
Ho già visitato la mostra, devo dire che ho piacere di sentire pareri discordi; al di la della bellezza dei dipinti solo la "chiamata" sento del Caravaggio e sembra che le indagini, vedi il testo sul dipinto, lo comprovano pianamente.
Il dipinto mi ha emozionato moltissimo, a stento ho trattenuto le lacrime, il pesce rilucente nelle mani di Pietro è assolutamente " fresco ", e la composizione è di una armonia quasi musicale.
Il " sacrificio di Isacco " è una tela dalla luce incredibile, ma una luce diversa dal Nostro, e lontanissima dalla potenza della analoga tela degli Uffizi. Non posso non sentire lo straziante urlo del povero Isacco.
ugo casiglia

7 gennaio 2007 alle ore 14:53  
Blogger Nico Valerio said...

Grazie Casiglia del suo bel contributo, che la inserisce d'autorità tra i "sensibili" all'arte, costretti a portarsi sempre appresso non la moderna adrenalina - giammai - ma gli ottocenteschi "sali ammoniacali", onde rinvenire in modo romantico e terribilmente aleatorio.
Infatti...non sempre funzionavano...

8 gennaio 2007 alle ore 00:00  
Blogger Nico Valerio said...

Al primo Anonimo. L'argomento, è vero, è la caravaggite, ma volevo satireggiare non i poveri appassionati, bensì i furbi allestitori di mostre. Di questo passo, volevo dire, una mostra che non abbia almeno un "possibile" e contestatissimo quasi-allievo-di-Caravaggio, neanche il custode la vedrà...

8 gennaio 2007 alle ore 00:05  

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