30 novembre 2007

TROMBA. Il maledetto genio di Morgan, ucciso dalla gelosia

Sta crescendo, anno dopo anno, l'ammirazione postuma per la bellissima tromba jazz di Lee Morgan. Pensate se, invece, fossimo nel Settecento, senza dischi o nastri: di lui ci sarebbe solo il ricordo, sempre più flebile, finché resterebbe solo qualche assolo trascritto malamente sulla carta da musica. Meno male che il jazz, musica in cui conta quasi soltanto l'esecuzione reale, ha spesso potuto valersi delle registrazioni. Dal rullo di pianola, ai rulli di Edison, dai registratori a filo a quelli a nastro, dai dischi di ebanite a 78 giri, fino a quelli di vinile a 45 e 33, ed ora ai compact disc e dvd, senza contare la registrazione diretta in Mp3 di oggi, il jazz è sempre andato di pari passo con le innovazioni tecnologiche.
Lee Morgan è al centro d'un interessante libro biografico che abbiamo scoperto recensito su All About Jazz (Italia), a cura di Enrico Bettinello. Lo riproponiamo qui convinti anche di esaudire i desideri dei tanti appassionati di jazz, di hard bop e in particolare della stupenda tromba di Morgan. Certo, non arriva mai alle altezze artistiche e tecniche di quella di Clifford Brown, ma appare dotata di una sua cifra poetica e anche d'un suono bellissimo. Il libro non l'abbiamo ancora letto, ed anzi lo stiamo cercando, ma ci piace da laici che l'autore non indulga troppo - come fa capire il recensore - allo scandalismo retrospettivo, né ad alimentare l'ennesimo "mito", e cerchi invece di offrire un panorama reale e razionale della vita del grande trombettista, pur così drammatica:

LEE MORGAN. HIS LIFE, MUSIC AND CULTURE
di Tom Perchard
Equinox Publishing, pp.298

“Si deve al giornalista Tom Perchard, appena poco più che trentenne firma di The Wire e all'esordio librario, questo splendido lavoro sulla figura del trombettista Lee Morgan, una biografia che è molto più di una semplice storia della tumultuosa vita del jazzista di Philadelphia.
In questo lavoro infatti Perchard sembra avere trovato un magico equilibrio tra la narrazione dei fatti, l'inserimento delle testimonianze dirette dei tanti colleghi e amici intervistati [la lunga lista va da Amiri Baraka a Reggie Workman, passando per Benny Golson, Billy Harper e molti altri] e la continua dialettica con il contesto artistico, sociale e politico in cui Morgan si trovò a vivere.
Stupisce per misura e efficacia il modo in cui l'autore tratta ad esempio gli aspetti più crudi [e per questo potenzialmente più "appetibili" per facili agiografie di qualsiasi segno] della vita di Morgan, dal pesantissimo rapporto con la tossicodipendenza fino alla tragica fine allo Slugs' per mano [armata] della compagna. Perchard non calca mai la mano su ciò che non è essenziale, ma riesce lo stesso a dire cose che solitamente si omettono o che vengono graziosamente adombrate, come lo strettissimo rapporto tra le sedute di registrazione e le necessità "tossiche" [chi ha il mito "immacolato" della Blue Note e dei suoi artisti potrebbe rimanere davvero male a leggere alcuni passaggi del libro].
Scegliendo un soggetto come Lee Morgan, l'autore compie già un "atto" importante: il trombettista è infatti una figura ideale per delineare al meglio le contraddizioni e le vicende a cavallo tra gli anni Cinquanta e i primi Settanta: a partire dall'infanzia a Philadelphia, passando per le prime collaborazioni con la Big Band di Dizzy Gillespie, per poi approdare - croce e delizia - alla corte di Art Blakey e dei suoi Jazz Messengers di cui sarà per anni uno dei simboli, la vita di Morgan si intreccia con un mondo del jazz che corre a velocità spaventosa, che esplode di talenti e di terribili miserie umane, in cui la creatività e la furbizia vanno a braccetto.
Dopo una lunga lontananza da New York - dove gli avevano spaccato tutti i denti e non gli conveniva rimettere piede tanto presto - Morgan torna nel 1963 e azzecca quel "terno al lotto" che è The Sidewinder, con tutto ciò che questo comporta: il grande successo, la dilaniante tensione tra ripetere quello che il pubblico vuole e esplorare nuovi terreni, l'avere un ruolo di campione di vendite in un momento in cui il jazz comincia a declinare.
Interessantissima è la parte dedicata agli ultimi anni della vita del trombettista, anni di progressivo avvicinamento alle istanze politiche e sociali della gente nera [cui sono dedicate pagine non banali e ricche di aneddoti e testimonianze], di contraddittorie condotte personali e artistiche, fino appunto al tragico epilogo, cui si arriva però con un quadro di Morgan, della sua compagna [più vecchia di 13 anni] Helen Moore, del ruolo di entrambi, che ci dà dell'evento una profondità assai diversa dal classico assunto "ucciso dalla fidanzata gelosa".
Anche dal punto di vista musicale il libro di Perchard, pur senza dilungarsi in analisi troppo specialistiche che ne avrebbero frenato la leggibilità, fornisce spunti e contributi molto interessanti, inquadrando lo sviluppo globale del jazz secondo i più aggiornati strumenti musicologici e tratteggiando le caratteristiche del suono di Morgan con grande pertinenza. Vengono così "svelati", ma sarebbe più appropriato dire che vengono correttamente contestualizzati, i vari "trucchetti" del trombettista, tanto amati dagli appassionati di hard-bop e lo sviluppo dello stile di Morgan trova un onesto [ri]dimensionamento.
Unico appunto che si può fare al libro è, a questo punto, la mancanza di una discografia ragionata: vero è che lo spirito dell'autore tende a rifuggire le ansiose "coperte di linus" degli appassionati, ma un riferimento più schematico alla produzione musicale di Morgan non sarebbe stato male. Comunque un lavoro importante per molti motivi, godibilissimo, intelligente, tutto da leggere e da consultare. Must!

JAZZ. Lee Morgan (tromba), con Jacky Mc Lean (sax alto), Curtis Fuller (trombone), McCoy Tyner (piano), Bob Cranshaw (contrabbasso), Art Blakey (batteria), in un brano lunghetto (9:44), registrato interamente, che dà nome ad un disco poco noto di Morgan, "Tom Cat", la cui copertina Blue Note (v. foto in alto) è malamente riprodotta come fotogramma fisso nell'audiovisivo. Lee Morgan in "Tom Cat"

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2 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Grande, grandissimo Morgan, anche se gli ultimi dischi mi piacciono un po' meno

4 dicembre 2007 alle ore 00:52  
Blogger John Birks said...

Sto proprio studiando il solo su "Moanin".
W Lee Morgan

30 maggio 2008 alle ore 18:48  

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