23 ottobre 2008

ANIMALI SCONOSCIUTI. C’è ancora l’italiano naturalista e scopritore

Sembrava una specie in via di estinzione, ma – ecco la scoperta vera – ogni tanto emerge una figura di naturalista viaggiatore, magari di provincia, che va in Africa o in Sud America, batte le foreste più nascoste e meno frequentate, meglio se sulle montagne, dove non vanno i bamcari, i postini e le insegnanti di lettere in vacanza amanti del finto brivido delle finte "avventure", e scopre decine di specie nuove o di varietà sconosciute di piante e animali.
L’ultimo è Michele Menegon, ricercatore del Museo di Scienze Naturali di Trento, che ha vissuto per quasi due mesi complessivi tra rane, rospi, camaleonti e serpenti, molti dei quali mai visti prima d’ora da nessun occhio umano, nel fitto della foresta pluviale dei monti Nguru (Tanzania, Africa), quasi sempre avvolti in una fitta nebbia, tra i 700 e i 2400 metri, uno dei posti meno esplorati della Terra.
Ha catalogato 97 specie di rettili e anfibi e 17 sono risultate totalmente sconosciute.
Ma anche qui, altro che "multinazionali" o capitalisti in agguato: è il disastroso "effetto copia" di cui sono preda le popolazioni che distrugge la Natura e intacca la salute dell’Uomo. "L’area di circa 180 km quadrati, è minacciata dalle popolazioni indigene che vivono ai suoi margini", scrive Stefano Rodi sul Corriere. "La gente dell’altopiano taglia e brucia gli alberi per far posto alle coltivazioni di mais, patate e altri ortaggi. Prima ancora di avere un nome, quindi, molti di questi organismi che abitano questa zona rischiano di scomparire".
La foresta atavica, una volta distrutta, non ricrescerà più. La natura sarà distrutta, il clima locale cambierà, l’erosione del terreno spazzerà via l’humus, saranno necessarie tonnellate di pesticidi. Tutto perché la popolazione intende copiare i modelli di vita e di alimentazione altrui.
Oggi in Africa non si mangiano più cereali autoctoni e integrali, sempre meno il sorgo, il miglio, il panico, la dagussa, e sempre più il pessimo cibo globalizzato, come mais, riso e patate, alimenti che per il loro particolare tipo di amido, per come sono raffinati, lavorati, conservati o cucinati, si rivelano non protettivi come quelli locali ma ad alto rischio epidemiologico (diabete, malattie cardiovascolari, tumori). E guai a farlo notare ad un africano: i consigli non sarebbero affatto graditi e si sarebbe accusati ottusamente di "razzismo".
Del resto, anche nell’Est e Sud Europa, anche in Italia, non c’è peggior sordo del contadino povero che non vuole sentire, perché ha ormai in testa come modello di vita quegli alimenti, quei consumi, quello stile di vita che noi oggi cerchiamo di abbandonare o almeno di cambiare, perché legati alla degenerazione del Civilization Disease, alle malattie da benessere.
Questi strani e bellissimi animali (si veda la piccola galleria di foto sul Corriere ) potranno sparire se i tanzaniani decideranno di coltivare e mangiare quei cibi d’importazione che li faranno ingrassare e ammalare. E avranno per di più pessime rese agricole, perché in una ex foresta c’è un humus poco adatto alle coltivazioni. Ma l’Uomo-massa moderno – si sa – è stupido in tutto il Mondo. Quanto più è ignorante. E che sia l’impiegato di Roma o il contadino di Dodoma, non fa differenza.
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Immagine: Una rana maschio del genere Callulina fotografata dal naturalista italiano Menegon.
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JAZZ. Il 25 luglio scorso, a 80 anni, è scomparso il sassofonista Johnny Griffin, grande virtuoso e improvvisatore sui tempi veloci, per la sua statura presentato spesso come "Little Giant". Aveva esordito nell’orchestra di Lionel Hampton, poi aveva suonato con Powell, Monk, Blakey ecc. Ma il suo nome resta legato, oltre che a numerosissimi dischi, alle esibizioni spettacolari degli ultimi decenni col proprio quartetto, al solismo fantasioso e barocco da gran narciso e gigione della corrente centrale del jazz moderno di derivazione hard bop, alla proverbiale predilezione per i tempi molto veloci, alle "battles" o duelli con altri virtuosi, come Eddie "Lockyaw" Davis. Ancora fino agli anni 70 inoltrati lo si è ascoltato in forma "giovanile" al Music Inn di Roma e poi nei grandi concerti dei Festival italiani. In questo video degli anni 60 il quintetto di Griffin e Art Taylor esegue My Little Suede Shoes in una tipica atmosfera hard bop.

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