26 agosto 2009

SUD. A 150 anni dall’Unità, niente più scuse: basta con gli aiuti di Stato.

Vorrei, da figlio di pugliese, che i meridionali italiani che risiedono al Sud, che ancora oggi, a 150 anni dall’Unità d’Italia, incolpano lo Stato, lo Stato nato col Risorgimento, delle loro incapacità millenarie, meditassero su una circostanza rivelatrice.

Quando un meridionale italiano va a vivere nel Nord-Italia o all’estero, senza raccomandazioni di potenti, si comporta tutto sommato dignitosamente, da gran lavoratore, si inserisce bene nella nuova società, non di rado meritando l’apprezzamento di colleghi e autorità, talvolta perseguendo importanti obiettivi. Invece, se resta nel Sud si fossilizza, la sua apatia diventa cronica, i veti incrociati, il pessimismo, le invidie, la corruzione e la criminalità della società meridionale lo bloccano o peggio lo coinvolgono, talvolta per sempre. Insomma, il meridionale, se isolato, si comporta bene, ma è in gruppo che non funziona. La comunità, la società meridionale (da cui deriva anche una mentalità diffusa) è l’unica causa certa della corruzione, dell’arretratezza e dell’inefficienza del Sud.

Questa è la dimostrazione che sono i meridionali stessi gli artefici del proprio successo o della propria sconfitta. Un secolo e mezzo è trascorso dall’Unità italiana, e ormai solo qualche novantenne affetto da Alzheimer è perdonabile se parla ancora di "colpe dei Piemontesi".

Sono stati proprio i grandi studiosi meridionali e meridionalisti – da Dorso a Salvemini, da Croce a De Viti De Marco, da Gramsci a Fortunato e a Compagna, quindi di ogni tendenza: per lo più liberali e democratici, ma anche marxisti – a scrivere sulle gravi colpe della cinica, parassitaria e ignorante borghesia meridionale, che finita la sua comoda vita all'ombra dei Borboni non ha mai avuto né idee né ideali, cioè dignità di classe dirigente che si fa carico anche dei doveri, e che nella Nuova Italia in cambio di qualche privilegio di ceto ha voltato gli occhi dall’altra parte per non vedere, senza muovere un dito per modernizzare la società del Sud.

E non mi si venga a obiettare che ci sono fulgide eccezioni (a cominciare dagli stessi intellettuali meridionalisti, appunto, e oggi da pochi imprenditori coraggiosi e borghesi illuminati): sono un'esigua minoranza che non incide sul tessuto sociale. Perché al Sud i valori dominanti tra la gente sono ben altri. Un'inchiesta tra i giovani meridionali dimostrò pochi anni fa che quasi tutti si fanno o si farebbero raccomandare. Unici al mondo. Li spinge a questo lo Stato italiano? E' colpa di Garibaldi, i Savoia, Bossi? No, perché lo facevano già sotto i Borboni, nell'Ottocento. Si legga riguardo alla corruzione, ai privilegi, alla mancanza di libertà nel Regno delle Due Sicilie, e alla crudele ottusità dei Borboni, la bella e avventurosa autobiografia d'un singolare aristocratico siciliano, che consiglio di leggere (Michele Palmieri di Miccichè, Pensieri e ricordi storici e contemporanei, Sellerio ed).

Non è un caso che al Sud, tuttora, ci siano pochi chioschi di giornali e quasi per niente librerie, ma in compenso tante gioiellerie, banche, pasticcerie, macellerie, ristoranti e negozi di armi.
Finora gli interventi dello Stato per ridurre il secolare deficit meridionale (deficit di cultura, moralità, legalità, iniziativa privata) non hanno funzionato, perché sono andati ad ingrassare le élites parassitarie o criminali della società del Sud. Dunque – argomenta Panebianco in un editoriale sul Corriere della Sera ("Liberalismo e paternalismo, le vie del Sud") – non resta che l’alternativa della via "liberale".

"La via liberale, quella che chi scrive preferirebbe – scrive Panebianco – (e che, nel lungo periodo, credo, sarebbe la carta vincente per il Sud) è quella che dice: solo i meridionali, e nessun altro, possono risolvere i loro problemi. Lo Stato, quindi, offre al Sud, come ha suggerito da tempo l’istituto Bruno Leoni, solo l’opportunità di trasformarsi in una grande no-tax area interrompendo contestualmente i flussi di trasferimento di risorse. Lo Stato resterebbe al Sud solo con gli apparati della forza (per contrastare la criminalità) e i servizi pubblici essenziali. A quel punto, probabilmente, si scatenerebbe un conflitto feroce fra le forze modernizzatrici del Sud (che ci sono) e quel "clientelismo senza risorse", fino ad oggi dominante, di cui ha parlato recentemente il presidente della Confindustria siciliana Ivan Lo Bello. Essendo cambiate le condizioni del gioco, le forze modernizzatrici avrebbero, per la prima volta, la possibilità di prevalere. Solo quando, dopo qualche tempo, si fosse messo in moto un processo di sviluppo auto-sostenuto (con il miglioramento del capitale umano, con una maggiore efficienza delle amministrazioni pubbliche, con una raggiunta capacità di attirare capitali) le varie regioni del Sud passerebbero progressivamente, anche del punto di vista fiscale e istituzionale, nella fascia A, quella delle regioni sviluppate.

"Oppure – continua Panebianco – si può seguire la via paternalista, la quale assume che i meridionali non siano capaci di cambiare le condizioni del Sud. Ma se la si sceglie, bisogna seguirla fino in fondo, coerentemente. In questo caso, è il centro che deve decidere tutto e a tutto sovrintendere. Anche con soluzioni istituzionali drastiche: fine di ogni autonomia regionale (Sanità in testa) e locale, azzeramento delle classi dirigenti colpevoli di sprechi, eccetera. Il problema è impedire che gli interventi modernizzatori del centro vengano distorti e le risorse centrali "catturate " da classi dirigenti locali interessate a sfamare clientele. Come accadde alla vecchia Cassa del Mezzogiorno e come accadrà di nuovo se si mescoleranno ancora centralismo e autonomia, paternalismo e liberalismo. Anche in questo caso, dovrebbe valere l’impegno secondo cui le regioni meridionali nelle quali si riuscisse a generare sviluppo, passerebbero progressivamente nella fascia A, approderebbero alla terra promessa del federalismo fiscale (ma senza più compensazioni e trasferimenti). Se al Sud non si innescherà al più presto un circuito virtuoso di sviluppo autosostenuto giorno verrà che l’unità del Paese sarà a rischio. Le soluzioni pasticciate e improvvisate non aiutano". Così Panebianco.

Eliminare le autonomie regionale, quindi, a partire da quella siciliana, la più scandalosa di tutte, e sottrarre alle Regioni la spesa sanitaria. D’accordissimo. Le Regioni a rischio, senza i soldi della sanità e le truffe collegate (un cerotto in Sicilia costa al cittadino tre volte che nel Nord), dovrebbero cambiare del tutto metodi di vita e, in conseguenza, classe politica locale. Giacché è arcinoto che la motivazione principale per cui ovunque in Italia, ma specialmente nel Sud, ci si avvicina alla politica è la speranza di guadagni e bustarelle. Tolti questi. la politica come professione per i buoni a nulla e i nullafacenti non sarebbe più appetibile. Dovrebbero davvero lavorare.

IMMAGINE. Una antica mappa del Regno delle Due Sicilie. .
JAZZ. La tromba di Clifford Brown, il maggiore trombettista del jazz moderno, in un appassionato Easy Living uno dei brani più belli della sua breve vita artistica. E' tratto dal suo celebre "Memorial Album" (1953). Gli interpreti: Clifford Brown (tp), Gigi Gryce (as, fl), Charlie Rouse (ts), John Lewis (p), Percy Heath (b), Art Blakey (ds). Reg.: Audio-Video Studios, NY.

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9 Comments:

Anonymous dr. Acquaviva said...

Condivido e approvo, da meridionale "illuminato". (Sì, però la lampadina dell'entusiasmo si sta spegnendo...-)

28 agosto 2009 alle ore 12:15  
Anonymous Del Vecchio said...

Sì, mi ricordo dei miei vecchi studi su Giustino Fortunato e Salvemini. Tu hai messo insieme tutti per brevità accomunandoli nella loro critica alla borghesia meridionale, ma saprai benissimo che invece, in quanto all'interventismo di Stato ci furono grandi differenze tra i meridionalisti. E anche curiose per noi contemporanei. P.es i maggiori interventisti di Stato erano i meridionalisti del Partito d'Azione e alcuni repubblicani. I comunisti furono per decenni contro la Cassa per il Mezzogiorno...

28 agosto 2009 alle ore 23:52  
Anonymous Cavourrino (Rino Cavour) said...

Critica impietosa che condivido.

31 agosto 2009 alle ore 10:11  
Blogger Nico Valerio said...

Del Vecchio ha ragione: il titolo si riferisce soprattutto al brano di Panebianco. Poi, riga dopo riga, si è aggiunto il mio commento, che invece verte soprattutto sulle colpe della classe dirigente del Sud.
Ecco perché ho messo insieme tutti i meridionalisti. E' giusto riconoscere che, in quanto a interventi dello Stato, i meridionalisti ebbero le idee più diverse: per lo più contrari, ma alcuni favorevoli.

31 agosto 2009 alle ore 10:15  
Blogger Nico Valerio said...

Su Facebook una persona ha detto che parlare di incapacità millennaria è una esagerata generalizzazione. Mi spiego: è una sintesi. Del resto, la Storia insegna sempre. Le colonie della Magna Grecia, zeppe di pensatori e scienziati, già erano litigiose e incapaci di darsi da sé ordinamenti e prassi da città tranquille, ai tempi della Repubblica romana. A Neapolis, dove si parlava greco, anche senza un Bassolinos o una Roussos Ierbolinos, regnavano la corruzione e la guerra per bande. Dovettero intervenire i Romani. Lo storico greco Polibio (nessuno lo legge, e invece è molto attuale) è severo e implacabile sull'incapacità dei Greci di organizzare una società. I tempi di Solone e Licurgo furono un lampo. La Grecia decadde sùbito proprio per gli stessi motivi delle sue colonie in Italia. Ed è ancora in quello stato morale e intellettuale. Basta dire che per millenni non ebbe classe dirigente degna di questo nome, né aristocrazia, né borghesia. Regredì a popolo di pastori. E se non fosse stato per gli Inglesi (e gli Italiani) non avrebbe neanche l'indipendenza.

31 agosto 2009 alle ore 11:25  
Anonymous Salvatore said...

Complimenti per i blogs, che curi con parsimoniosa acribia (ossimoro che non suoni a pur benevolo rimprovero).

11 settembre 2009 alle ore 16:31  
Blogger Nico Valerio said...

Fammi fare il... divulgatore: mi si accusa - giustamente - di essere accurato ma di scrivere poco. Vero, hai ragione. Ma siamo in due.
Il Nico megalomane e pigro, abituato alle migliaia di lettori di giornali e libri, ancora non accetta che un articolo di blog che oltre ad essere gratuito (lui scriverebbe solo per lavoro), e magari costato un'ora (se c'è da fare ricerche e link e approfondimenti), viene commentato solo da 2-10 persone. Allora, dice, meglio una passeggiata o ascoltare un disco jazz.
Se non ci fosse anche il Nico idealista e amante della scienza e delle libertà, io non scriverei gratis una riga.
Tanto è vero che ce l'ho a morte con gli pseudo-giornali di Destra e Sinistra che sfruttano la gente che ama scrivere senza pagarla, mentre loro intascano gli aiuti di Stato. Per analogia ero contrario ai blog e diari. Si deve scrivere solo su commissione, con lo stimolo della concorrenza: così vengono fuori le cose migliori.
E invece ho 8 blog. Il Nico 2 si vendica scrivendo poco.

11 settembre 2009 alle ore 16:34  
Anonymous Comevogliolamiacitta said...

Analisi lucidissima che condivido pienamente. Se posso permettermi una critica, credo che invece il regno delle Due Sicilie stava compiendo quel passo verso una monarchia illuminata che comunque non va bollato superficialmente ma andrebbe approfondito meglio. L'asssalto alle floride casse meridionali da parte del Piemonte c'è stato, cosi come lo spostamento delle'economia dal sud al nord e la guerra civile durata più di dieci anni e fatta passare per brigantaggio dalla seconda commissione parlamentare per difendere le respondabilità della borghesia meridionale messe in risalto dalla prima commisione. Questa ha contrubuito in maniera determinante alla distruzione dell'economia meridionale consentendo la diffusione della camorra e dando via al fenomeno dell'emigrazione. Quella classe politica tutt'ora si vende agli interessi degli industriali e delle banche del nord.

13 maggio 2010 alle ore 17:49  
Blogger Nico Valerio said...

I Borboni non ne volevano sapere di ammodernamenti, tantomeno di scendere a patti col Piemonte. Erano i primi difensori dello Stato Pontificio. Se invece fossero stati consigliati da ministri intelligenti e illuminati, ci sarebbe stata un'intesa da pari a pari, non una guerra. E nessuno avrebbe preso l'oro delle riserve. E' normale che se uno Stato perde viene depredato di tutto.
E poi questi discorsi fatti col senno di oggi... Contano i fatti. E allora i Borboni erano arrivati al punto di cannoneggiare dal mare le città della Sicilia... Erano odiatissimi dagli intellettuali del Sud, in gran parte liberali. E perfino nella Marina borbonica c'erano molti ufficiali liberali (la truppa era borbonica). Quindi non è spiegabile razionalmente questo neo-borbonismo. Se non, perdonami una cattiveria sociologica, col fatto che nel frattempo il Sud ha mandato al potere locale quella che un tempo era la sua plebe... perdendo quel po' di borghesia illuminata e di stampo europeo che aveva.

28 dicembre 2010 alle ore 22:10  

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