31 maggio 2010

COSTUME. Malaparte aveva ragione: la politica è cosa di provincia, non di Roma.

"Capitale corrotta, nazione infetta"? Certo, ma il celebre titolo dell'inchiesta di Manlio Cancogni sull’Espresso, nei lontani anni Sessanta, va interpretato correttamente. Non si pensi che la Penisola è infetta "a causa di Roma". E’ proprio l’opposto. Roma è quella che è "perché" l’Italia è volgare, maleducata e corrotta, non viceversa. E una vera capitale, qual è Roma, rappresenta in tutto e per tutto il suo Paese. Compresi gli accenti più incredibili.
      Anzi, i romani, cioè i siciliani, pugliesi, marchigiani, campani, calabresi, abruzzesi, laziali, umbri e toscani immigrati e ambientati a Roma, a differenza di quelli immigrati a Milano o Torino, si civilizzano e metropolizzano subito, depurando non poco le loro meschinità comunali e regionali. Perché, si sa, Roma incafonisce i migliori, che sono pochissimi in Italia, ma migliora i peggiori, che sono la stragrande maggioranza.
      Ebbene, questi "romani" adottivi, cioè tranne gli ebrei quasi tutti i romani, non amano affatto la politica, non la praticano, non ne vogliono neanche sentire parlare. Molti ne sono addirittura disgustati, tutti la guardano con fastidio e pesante ironia, perché ai romani i politicanti e la politica arrecano solo fastidi: blocchi di traffico, auto blu prepotenti, divieti, polizia dappertutto, servitù di passaggio, sirene, cortei, manifestazioni di protesta, riti e cerimonie, rappresentanze diplomatiche.
     E, psicologicamente, non gli piace neanche comandare sugli altri, per far vedere loro in mancanza di argomenti più seri "chi sono" davvero, e distinguersi così dalla massa dei "cafoni" (se meridionali) o "buzzurri" (se settentrionali), come si diceva a Roma quando i romani erano romani, cioè ai tempi del Belli. E invece, proprio il comandare, il distinguersi almeno per il Potere dai concittadini di origine, è cosa che procura erezioni ai provinciali del Nord e soprattutto del Sud. A cominciare dai siciliani: "Cummannari è megghiu ca fùttiri".
      Insomma, Roma è apolitica, se non del tutto anti-politica, ed è sommamente ingiusto accusarla proprio dei mali della Politica che essa dopotutto subisce.
      Eppure, si parla sempre male di Roma e dei romani, perché nella capitale ci sono i luoghi – sempre più numerosi – della Politica. Ma nessuno parla di chi quei luoghi sfarzosi, sottratti con la prepotenza, cioè con i soldi di tutti, all’uso dei cittadini di Roma, occupa e frequenta: i politicanti.
      Ebbene, i romani queste cose le sanno bene, le vivono ogni giorno, perché i politicanti di mezza tacca arrivano con grande stridore di freni, le cravatte sgargianti e le facce da "contadino ripulito per la domenica" da Enna, Cagliari o Treviso li vedono, purtroppo ogni giorno. Vestiti di blu scuro, quasi nero, e camicia bianca, orribilmente bianca, tutti uguali anche in questa cafonata, come un tempo andavano in giro solo gli autisti, i necrofori e i capo-camerieri di sala, ma solo perché il loro era il colore obbligato degli "invisibili", di coloro che non dovevano apparire rispetto al passeggero importante, alla bara col morto, alle pietanze colorate, profumate e saporite. I signor Nessuno, appunto.
      Ma, si sa, se la politica è un cancro e i politici sono dei parassiti vita natural durante, è giusto che nell’abito nero-blu i tanti, troppi, signor Nessuno dell’Italia minore si nascondano. E’ il colore-non colore della vergogna. Vivono a spese non dello Stato, ma dei cittadini, dopo essersi scelta una "professione" (così, eufemisticamente la chiamano) che consiste nel parlare a vanvera senza dire sostanzialmente nulla, e nel farsi eleggere dapprima dai colleghi (senza cooptazione nei Partiti neanche si è candidati) e poi dagli elettori più stupidi o disinformati, ovvero la quasi totalità degli Italiani. Loro se la suonano, loro se la cantano. I provinciali che affollano i Partiti eleggono i nuovi "paisà" da cooptare e li propongono, anzi impongono agli elettori di provincia, dove vigono ancora gli antichi legami di raccomandazioni, mafie, amicizie e rete di parentele.
      Ebbene, la stragrande maggioranza dei politicanti non è certo originaria di Roma, ma è residente o è nata in provincia, spesso addirittura in paesetti di pochi abitanti. Sono loro – come non capirli, a guardare le cartoline del loro paesello – a voler vivere a Roma, alle spalle dello Stato e dei concittadini, facendo poco o nulla, per 20 mila euro al mese. Il grande scrittore e polemista Malaparte lo aveva capito e scritto da par suo in uno dei suoi commenti sui giornali, poi raccolti in volume.
      NICO VALERIO

ROMA E PROVINCIA
di Curzio Malaparte
da Battibecchi, ed. Shakespeare and Company, Firenze 1993, pp. 293-294.

E' senza dubbio un chiarissimo segno dello sgretolamento, dell'avvilimento del nostro spirito civile, il fatto che in provincia si coltivi con tanto impegno la pianta della politica. Tutto è politico, in provincia. Forse perché l'intrigo, il pettegolezzo, la congiura, il tradimento spicciolo, le chiacchiere, le meschine diffamazioni, vi rappresentano la forma più nobile, per non dir la sola, di vita sociale. E questo fa che il responsabile, anzi il colpevole, dello spirito gretto e pettegolo della politica italiana, non è Roma, bensì la provincia, dove si educano alla politica nazionale coloro che poi, giunti a Roma come rappresentanti del popolo italiano, fan della politica un'arte provinciale, una sorta di mercato nazionale dei pettegolezzi, delle chiacchiere, dei particolarismi provinciali.      Se si compiesse un'indagine sull'origine della nostra classe politica, si vedrebbe che essa vien reclutata soprattutto nei ceti più gretti delle nostre province, massimamente in quelle più arretrate, dove il potere non è in mano né all'antica aristocrazia, né alla borghesia grassa, né al popolo, ma agli elementi più stretti, più meschini, più avari, e socialmente più incerti, più ibridi, che fan del pettegolezzo un'arte politica, e della politica un'arte del pettegolezzo, e non concepiscono i problemi nazionali se non come la ripetizione, su scala maggiore, dei consueti, piccoli problemi provinciali, e la lotta politica italiana se non come la continuazione di quell'eterna guerriglia che nel "borgo natìo" oppone da secoli i farmacisti ai droghieri, gli avvocati ai medici, le comari degli uni alle comari degli altri.
      Né credano i miei lettori meridionali che io alluda soltanto al Mezzogiorno: tutta l'Italia è paese. Alludo anche all'Italia settentrionale e a quella di mezzo, dove il pettegolezzo, l'intrigo, le chiacchiere, i rancori personali, son fatti della stessa materia di cui son fatti nel Mezzogiorno, pur mancando di quella bonomia, di quella umana comprensione, di quella indulgenza, che son caratteri comuni degli italiani delle province meridionali, e che gli italiani del Mezzogiorno pongono in ogni loro giudizio e in ogni loro atto, perfino negli atti e nei giudizi politici.
      Aggiungo che le stesse Prefetture, che dovrebbero rappresentare, nelle provincie, non solo l'autorità, ma l'obbiettività, l'impersonalità dello Stato, non sono, molto spesso, se non luoghi d'intrighi e di pettegolezzi provinciali. In moltissimi casi, se non in tutti, i Prefetti, anche i migliori (i Prefetti non son mai né buoni né cattivi: o son migliori, o son peggiori: cioè, o son migliori di uno cattivo, o peggiori di uno buono), finiscono per affondare fino al collo nella gretta vita provinciale, nelle beghe, nelle rivalità, nelle congiure, nelle chiacchiere della provincia, che è la gran maestra di vita di tutta la classe politica italiana. E taccio di quella amministrativa.
      Quale meraviglia, dunque, se l'Italia è tutta Peretola? Se Roma, la Roma politica, non è se non la somma di tutte le Peretole italiane? E se perfino i Consigli dei ministri non sono se non la ripetizione, su scala più ampia, del Consiglio comunale di Peretola?
      CURZIO MALAPARTE.

IMMAGINE. L'invettiva col gesto apotropaico delle "corna" non sarebbe venuta in mente a nessun politico romano. Ecco la famosa invettiva in aula del senatore siciliano Tommaso Barbato (Udeur) nel 2008 ripresa dai fotografi delle agenzie. Si tratta della sottospecie "corna d'ira". In precedenza era venuta in mente, come discutibile scherzo goliardico ("corna dello studente nella foto scolastica"), al presidente Berlusconi durante la foto di gruppo di capi di Governo europei. Più istintivo e sentito il gesto ("corna anti-malaugurio") che scappò al superstiziosissimo presidente della Repubblica, Leone, napoletano, contro contestatori che gli auguravano la morte. Anche nella gara delle corna, nessun romano.
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JAZZ. Il grande trombettista hard-bop Lee Morgan in Absolution del 1970 (durata: 9:59).

AGGIORNATO L'8 MARZO 2017

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3 Comments:

Anonymous Tatiana said...

Come hai ragione!

31 maggio 2010 alle ore 16:58  
Anonymous Luisa said...

Roma è una mitica città dalla quale tutti vorrebbero scappare se solo potessero! quali vantaggi vivere a roma? non riesco a vederne più di uno : quello di avere un lavoro....

31 maggio 2010 alle ore 18:15  
Blogger Nico Valerio said...

Se non ci sono specifiche occasioni di lavoro (politica, cinema, Rai, giornali), i vantaggi di vivere a Roma sono pochissimi rispetto agli innumerevoli svantaggi, in pratica solo 3 (che moltissimi però non utilizzano): 1. Grande possibilità di spettacoli ed eventi. Unica in Italia. 2. Grandiosi parchi (almeno 3) in Centro o non lontano. Unica in Europa e forse nel Mondo tra le capitali. 3. Molti e grandi Musei e Antichità classiche....Unica al Mondo.
E invece pochissimi romani vanno nei musei, ai concerti o nei parchi. E la stragrande maggiioranza fa vita ritirata e non esce neanche la sera: cosa assurda. Ma allora perché vivono a Roma? E molti sono pensionati, che non accettano che Roma non sia adatta a loro... Come anche parecchie giovani donne... chiuse in casa!. La risposta è una sola: malinteso senso di promozione sociale: chi viene dai paesini o dalla provincia non vuol far vedere ai parenti di tornare all'ovile, la vedrebbe come una sconfitta... Su questo equivoco si fonda il problema della metropoli romana. Ma questo disagio è coperto dall'ultimo vantaggio: l'anonimato (prima in Italia).

31 maggio 2010 alle ore 18:15  

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