25 aprile 2011

RIFORME. Ecco le dieci liberalizzazioni a costo zero che si potrebbero fare subito

Luigi Einaudi giovane (colore Photoshop) PARADOSSI ITALIANI: POCO DA SINISTRA, NIENTE DA DESTRA.  Si fa un gran parlare di liberalizzare e modernizzare l’economia italiana, per metterla al passo dell’Europa, ma nessuno, né a Destra né a Sinistra, ha mai fatto in pratica nulla di rilevante in questa direzione. Il conservatorismo e l’arretratezza della classe politica italiana prevalgono ancora. E meno male che siamo in Europa. Ormai ci tocca solo sperare che dall’Unione Europea arrivi prima o poi un severo aut-aut sulla libertà economica, materia in cui siamo ultimi nel Continente.

MONOPOLI, CORPORAZIONI E PRIVILEGI, ALTRO CHE MERCATO LIBERO. Altro che “eccesso di mercato” o di “liberismo” come lamentano nell’ultra-sinistra, evidentemente digiuni di economia liberale. In Italia ci sono monopoli, oligopoli, corporazioni, privilegi, elargizioni, impedimenti di ogni tipo: tutto il contrario del “mercato”. La stessa sudditanza dei cittadini-consumatori rispetto ai produttori è una patologia che ci tiene lontani dal mercato libero e dalla vera concorrenza. Ogni governo, di Destra o di Sinistra che sia, conserva un dicastero segreto, il ministero delle Corporazioni, lo stesso che fu creato dal Fascismo. Ecco perché l’economia italiana è ancora legata strettamente alla politica. Noi italiani il mercato libero neanche sappiamo che cosa sia. E se ci fosse, il panorama quotidiano sarebbe tutto diverso.

GOVERNI INSENSIBILI AI CITTADINI, MA SENSIBILISSIMI ALLE CORPORAZIONI. E come se la fanno sotto i Governi, insensibili alle proteste dei cittadini e consumatori, quando una corporazione a cui si sta tentando di ridurre i privilegi protesta! Perfino di fronte alla reazione corporativa di tassisti, notai, titolari di farmacie, avvocati e benzinai, i Governi – specialmente quello populista di Destra, più sensibile al consenso dei settori più retrivi e corporativi della società – si sono subito fermati. Anzi, per curioso paradosso, l’unica modesta e parziale liberalizzazione fu tentata proprio da Bersani, ex comunista e ministro di un governo di Sinistra, quello di Prodi. Ma dal governo Berlusconi, che ha sempre in bocca l’aggettivo “liberale”, nulla. Anzi, dal suo ministro dell’economia, l’ex socialista Tremonti, sono sempre venuti provvedimenti colbertisti e statalisti (pensiamo solo al salvataggio nazionalistico, inutile e antieconomico dell’Alitalia).

E L’UNITA’ D’ITALIA COMINCIO’ COSI’. Le liberalizzazioni ci ricordano il grande Cavour, che contro le resistenze locali svecchiò quasi di prepotenza il Piemonte e poi l’Italia importando le misure inglesi sul mercato e l’economia. Si ebbero, anche allora, molte proteste, certo, ma per fortuna il conte aveva un caratteraccio, e seppe rispondere ad ogni obiezione conservatrice. Dopo l’anno del bicentenario della sua nascita, ora celebriamo i 150 anni dell’Unità d’Italia, resa possibile unicamente dalla volontà e astuzia del genio Cavour, oltreché dall’intraprendenza di Garibaldi, due italiani cosmopoliti, quasi stranieri in Patria, che guardavano sempre a ciò che di buono si realizzava nei Paesi socialmente più progrediti.

EINAUDI E IL SUO ALLIEVO PREDILETTO, ERNESTO ROSSI. Ma le lotte ai privilegi, alle sovvenzioni statali e ai monopoli, la “uguaglianza nei punti di partenza” tra cittadini, l’equiparazione-contrapposizione nel mercato di consumatori e produttori, l’abolizione del valore legale dei titoli di studio, la cancellazione degli Ordini professionali (non per caso quello dei giornalisti fu voluto dal Fascismo), ci ricordano anche il grande economista e politico liberale Luigi Einaudi, e il suo allievo prediletto Ernesto Rossi. L’Italia era arretrata, dicevano, non solo per antiche e sedimentate ragioni culturali e storiche, ma anche a causa di monopoli, statalismo, protezionismo e corporativismo.

IL “DECALOGO” DI LOTTIERI. Sul tema delle liberalizzazioni, ecco una proposta “facile” di Carlo Lottieri, dell’Istituto Bruno Leoni, pubblicata dal Giornale il 22 aprile scorso, per intervenire senza aggravi di spese sui conti pubblici avvantaggiando sia i cittadini, sia le imprese. Sarà facile per gli economisti liberali, ma certo sarà difficilissima, quasi impossibile, per un governo populista e non liberale come l’attuale.

LA PRIMA OBIEZIONE: IL MERCATO DELLE CASE E DEGLI AFFITTI. Tuttavia, due punti di questo “decalogo” lasciano perplessi, obietto insieme col lettore Roberto (che ringrazio del commento critico): gli affitti delle case e i contratti di lavoro. La casa in Italia non è un bene come tutti gli altri. Le case sfitte, le seconde, terze o quarte case tenute vuote, non possono essere considerate un bene qualsiasi. Il mercato immobiliare è un mercato speculativo completamente slegato dai salari e dai redditi reali dei cittadini, in cui si fa accaparramento, cioè non si mette sul libero mercato il bene, ma lo si conserva per motivi extra-mercato, come la politica fiscale. Sostenere con assegni gli affitti, anziché liberalizzare il mercato potrebbe alimentare il circolo vizioso. Invece dovrebbe essere pesantemente disincentivata la pura speculazione e incentivata la messa sul mercato, per esempio detassando completamente l’immobile dato in affitto. Dopo di che si può anche pensare di svendere il patrimonio pubblico, che però è poca cosa rispetto ad altri Paesi europei, nei quali è una delle politiche che insieme al fisco calmieravano il mercato immobiliare spingendo la messa sul mercato delle case a prezzi ragionevoli. Cosa che in Italia manca. Se non si risolve questo punto la "liberalizzazione" proposta è a favore solo di chi specula per tenere prezzi troppo elevati rispetto al reale mercato degli affitti (e delle case).

LA SECONDA OBIEZIONE: IL MERCATO DEL LAVORO. Il secondo punto discutibile è quello dei contratti di lavoro. E’ vero che si è adulti consenzienti, ma come ripeteva spesso Luigi Einaudi auspicando una maggiore equiparazione in quanto a forza contrattuale tra venditori e acquirenti (tanto più nel mercato del lavoro, il solo caso in cui è l’offerta ad essere la parte debole), chi cerca lavoro e chi lo offre non sono sempre, per non dire quasi mai, nelle stesse condizioni negoziali. Lo Stato non deve fare chissà che, ma almeno deve fare in modo che una delle parti contraenti non sia in evidente ed eccessiva posizione di forza rispetto all'altra. La einaudiana “uguaglianza dei punti di partenza” è anche questo.
NICO VALERIO

ECCO LE DIECI RIFORME FACILI “A COSTO ZERO”. “Un gran numero di interventi destinati ad aiutare famiglie e imprese può essere realizzato senza gravare sui conti pubblici.
Dalla cancellazione delle province a quella degli ordini professionali: ecco il decalogo dei provvedimenti
Uno dei pretesti che i conservatori di tutti i partiti chiamano in causa per evitare le riforme più urgenti è che, purtroppo, lo stato delle finanze pubbliche è quello che è. Niente soldi, e dunque niente riforme. Ma in realtà un gran numero di provvedimenti destinati davvero a venire incontro a famiglie e imprese può essere realizzato a costo zero. Anzi: in molti casi si tratta di operazioni che possono perfino ridurre la spesa pubblica e/o comportare entrate straordinarie, così da ridurre il debito e, di conseguenza, gli interessi su Bot e Cct che siamo costretti a finanziare con le nostre imposte.
L’elenco delle cose da fare sarebbe molto lungo. Qui si è scelto di indicare essenzialmente alcune tra le riforme di cui si parla da più tempo e che dovrebbero maggiormente stare a cuore a quanti nutrono convincimenti in qualche modo liberali.

1. Cancellazione delle province. L’economia italiana deve fare i conti non soltanto con una pressione fiscale oppressiva, ma anche con una autentica piovra di politici e burocrati che in vario modo intralciano la libera iniziativa e falsano il mercato. Se oggi una vera industria culturale, ad esempio, fatica a crescere è anche perché assessori e funzionari sono costantemente impegnati a finanziare amici e clienti. Per ridimensionare questa idra dalle mille teste si può partire dal più inutile dei livelli di governo: quello provinciale. Ne guadagneranno le tasche dei contribuenti, ma anche le opportunità di successo di quanti operano sul mercato.

2. Privatizzazione di imprese pubbliche (Eni, Enel, Cassa depositi e prestiti, ecc.) e municipalizzate. Un mercato non è davvero tale se alcune aziende possono costantemente contare sugli aiuti pubblici e altre invece, se vanno male, chiudono. Al fine di aiutare l’economia a crescere in dinamismo bisogna allora avviare un ampio progetto di privatizzazioni, così da separare definitivamente politica ed economia, all’insegna del motto “Libera impresa in libero Stato”.

3. Cessione delle case popolari e creazione, con il ricavato, di buoni-affitto. La politica statalista in tema di edilizia popolare è stata fallimentare, producendo disagi sociali, ingiustizie, privilegi. In molte occasioni si sono costruiti orribili alveari, che hanno prodotto infelici segregazioni urbanistiche. Gli enti pubblici devono ritrarsi da tali ambiti, ma per far questo bisogna vendere le case popolari e utilizzare il ricavato per aiutare con assegni temporanei quanti hanno difficoltà economiche, lasciando loro la libertà di trovare un’abitazione in affitto sul mercato.

4. Abolizione di ogni ostacolo al lavoro. In Italia vi sono moltissime norme che ostacolano la libera iniziativa – gli orari di apertura dei negozi, per esempio – e l’incontro tra domanda e offerta, causando alti livelli di disoccupazione. Soprattutto al Sud, queste regole impediscono rapporti capitalistici tra adulti consenzienti e, in definitiva, generano solo povertà, mercato nero, emigrazione. Bisogna fare in modo che ogni norma in materia di lavoro possa essere superata per via negoziale, se vi è l’accordo delle parti. Se uno può votare sull’aborto o sulla responsabilità dei giudici, perché poi non può decidere sul suo personale contratto di lavoro?

5. Liberalizzazione dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie. La giustizia – e soprattutto quella civile! – non funziona; e in primo luogo perché è una realtà fuori mercato. Nel resto del mondo stanno crescendo i metodi alternativi di risoluzione delle controversie: l’arbitrato (dove la sentenza è formulata da un giudice privato, scelto dalle parti) e la mediazione (che non si conclude con una sentenza, ma approda a un accordo extragiudiziale). Bisogna che la legislazione smetta di intralciare questi istituti, permettendo a chiunque lo voglia di fare l’arbitro o il mediatore e lasciando che sia il mercato a giudicarne le qualità.

6. Consolidamento delle regole sulla concorrenza (ad esempio, sganciare Rfi da Trenitalia). Troppi settori soffrono le conseguenze di privatizzazioni e liberalizzazioni solo parziali: specie nel caso dei sistemi “a rete”. C’è bisogno che le aziende che utilizzano i medesimi binari o lo stesso cavo siano poste su un piano di parità.

7. Trasformare gli ordini in associazioni, partendo da notai e giornalisti. Anche se il regime fascista è morto nel 1945, molta parte di quella cultura è ancora viva e vegeta. Lo testimonia il persistere delle corporazioni. La riforma è semplice: si trasformino gli ordini in associazioni a cui ci si può iscrivere oppure no, lasciando a chiunque la libertà di praticare la professione che predilige.

8. Abolizione del valore legale del titolo di studio. Questo obbrobrio non trova alcuno spazio, ovviamente, nel settore privato (dove vali per quello che sai e sai fare, e non certo per un pezzo di carta). Non è così, però, nel settore pubblico, che sacralizza bolli e pergamene. Si ascolti Luigi Einaudi e si volti pagina.

9. Fine del regime che regola limita l’apertura di nuove farmacie. Perché in una qualunque strada di un villaggio della Georgia caucasica è possibile trovare, una fianco all’altra, tre farmacie e in Italia no? La nostra legge autorizza solo una farmacia ogni 5 mila abitanti e quasi ci dice che per fare il farmacista lo deve essere anche tuo padre. Le lenzuolate del centro-sinistra hanno introdotto qualche parziale modifica. C’è qualcuno che sappia essere un po’ più liberale di Bersani?

10. Fine dell’obbligo di iscrizione alle camere di commercio. Come per gli ordini, è necessario che queste realtà siano indotte a operare bene, mettersi a disposizione degli iscritti, offrire servizi di qualità. Ma l’unico modo perché ciò avvenga è che artigiani, industriali o commercianti possano decidere di non pagare la quota associativa. È una soluzione semplice. L’unica che esiste”.
CARLO LOTTIERI

IMMAGINE. Luigi Einaudi da giovane. Il grande economista liberale attribuiva un grande valore sociale e democratico alla liberalizzazione dell’economia italiana, inefficiente a causa di monopoli, statalismo, protezionismo e corporativismo.

JAZZ. Il sassofonista tenore hard bop Joe Henderson col suo quintetto in Recorda Me (1963), con due grandi del pianoforte e della tromba: Kenny Dorham (trumpet), Joe Henderson (tenor sax), McCoy Tyner (piano), Butch Warren (bass), Pete LaRoca (drums). Dal disco “Page One”.

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11 aprile 2011

PASQUA. Gli ebrei vegetariani: “Ma gli animali che soffrono non sono kasher!”

“Ma come, – è sbottato l’ottimo Mario Fuà, polemista coi fiocchi (“nom de plume”: “Gerush92”) – ora ci vietano perfino le ciambellette, che sono tradizionali per ogni buon ebreo romano in occasione della Pesach, e poi s’ingozzano di foie gras? Ma non lo sanno che le oche, per produrre “fegato grasso”, si devono ammalare, insomma sono torturate? Gli animali che soffrono non devono essere considerati kasher!”
E così, in preda alla tripla indignazione di ebreo che ha sempre qualcosa di ridire, di libertario e ora pure di vegetariano animalista (come lo capisco: l’indignazione morale è un lubrificante ideale per il cervello di chi scrive su internet), Gerush si è messo subito alla tastiera del computer. E sì che lui di solito non la manda a dire! Ne è venuto un articolo, che dico, una denuncia, stringente e documentata, come sono sempre tutti i suoi articoli, che non lascia spazio alle obiezioni. Gherush, come gli antichi Romani, quando scende in guerra è per vincere, anzi stravincere, non per partecipare. E non fa prigionieri. Lo sottopongo agli amici della Comunità che mi leggono. NICO VALERIO

Gli animali che soffrono non sono Kasher!
VIETANO LE CIAMBELLETTE E MANGIANO FOIE GRAS...
“Non è lecito infliggere ad un animale sofferenza, a maggior ragione se questa viene progettata, organizzata e perpetrata negli allevamenti intensivi su scala industriale, cioè moltiplicata per milioni e milioni di esseri viventi ogni anno. Negli allevamenti intensivi, nei quali vivono anche gli animali destinati all’alimentazione kasher, questi subiscono, senza scampo, crudeltà inenarrabili, solo per aumentare il profitto e per assicurare, a tutti e sempre, una quantità eccessiva di carne. Questi allevamenti sembrano contraddire tutte le norme ebraiche che prescrivono il rispetto verso gli animali e in molti casi somigliano a veri e propri campi di sterminio.
D’altra parte, c’è chi pensa, forse per tentare di giustificare azioni scellerate, che l’uomo sia il principale destinatario dell’opera della creazione: “Si sono convinti che l'uomo, il peggior trasgressore di tutte le specie, sia il vertice della creazione: tutti gli altri esseri viventi sono stati creati unicamente per procurargli cibo e pellame, per essere torturati e sterminati. Nei loro confronti tutti sono nazisti; per gli animali Treblinka dura in eterno.” (Isaac Bashevis Singer). Gli allevamenti intensivi sarebbero luoghi da abolire e, invece, sono catene di montaggio di esseri viventi ridotti ad oggetto, a servizio dell’uomo moderno. C’è da considerare che la sofferenza degli animali negli allevamenti intensivi certamente provoca un’alterazione dello stato fisico e psichico, perché un animale che vive in cattività, in condizioni estreme e solo per essere ammazzato, inevitabilmente si ammala.
Come può un animale reso ammalato essere kasher? Come dice Foer in "Se niente importa. Perchè mangiamo gli animali?", bisognerebbe attentamente riflettere su cosa sono gli allevamenti intensivi, cosa è la sofferenza degli animali e quali sono le sue conseguenze. Non basta che gli animali siano uccisi secondo le norme della shechità, ma è necessario garantire loro di nascere, crescere, riprodursi e vivere, secondo il proprio ciclo biologico, senza patire alcuna sofferenza come, invece, avviene sistematicamente negli allevamenti nei quali vivono costretti. Gli allevamenti intensivi, inoltre, pongono gravi problemi di inquinamento ambientale e sulla salute degli uomini, che non devono essere trascurati.
Nella Torà sono prescritti precisi obblighi verso gli animali ed è insegnato il rispetto e il comportamento di gentilezza e misericordia verso di loro. Agli animali è garantito il riposo; sono protetti nella fatica e nel lavoro; devono essere aiutati quando si smarriscono; devono essere protetti se in difficoltà; agli animali deve essere evitata sofferenza gratuita. Nella Torah, dunque, sono riconosciuti i diritti degli animali.
Ricordiamoci sempre che “… gli animali non possono essere allevati solo e soltanto per essere mangiati e che gli alberi non possono essere coltivati solo e soltanto per essere tagliati” (Linee Guida per la Protezione della Diversità Culturale, Gherush92). Ricordiamoci anche che l’essere umano fu formato per ultimo affinché si ricordi di non sopravvalutarsi e se una persona si comporta con orgoglio, le si dice: “Perfino la zanzara è stata creata prima di te!”.
Le norme tradizionali ebraiche, compreso le regole alimentari e quelle verso gli animali, sono regole antiche e consolidate che disciplinano in modo armonioso il rapporto dell’uomo con l’ambiente, con gli esseri animati e inanimati: solo alcuni animali possono essere mangiati e in certe particolari e severe condizioni. Tali norme non dovrebbero essere tradite, assimilate o essere poste al servizio della modernizzazione, dell’industrializzazione e dello sviluppo. Rispetto degli animali, kasherut e allevamenti intensivi moderni sono realtà inconciliabili.
Noi riteniamo che le regole ebraiche non possano essere applicate a compartimenti stagni, quelle alimentari in modo scollegato dalle altre norme sugli animali che ci insegna la Torà, perché questa interpretazione non risponde al problema fondamentale e struggente della sofferenza degli animali.
Noi riteniamo, in sintesi, che gli animali che soffrono non sono kasher e che sia necessario aprire un dibattito approfondito su questo argomento. E se è vero che il livello di sofferenza durante la macellazione non si può controllare né stimare, chiunque è in grado, se vuole, di osservare e conoscere la sofferenza di un animale in un allevamento intensivo. La sofferenza riguarda l’intera esistenza dell’animale, non è un elemento trascurabile, accidentale o marginale, non è un’immaginazione o un sospetto, ma un’orribile realtà quotidiana.
Per Pesach assistiamo attoniti alla seguente incresciosa situazione, che chiede con urgenza una spiegazione halachica complessiva e una soluzione operativa: per un sospetto si accetta di vietare l’uso della farina per le ciambellette e di distruggere una tradizione ancora viva e vitale; non per un sospetto, ma con consapevolezza e cognizione, si acconsente a ripetere un’orribile realtà, e a mangiare il foie gras, che troviamo nei ristoranti kasher di tutta Europa e in molte famiglie.
Ogni anno si ripete una procedura agghiacciante: il foie gras è il prodotto di una crudeltà estrema, perché gli animali sono forzati nell’alimentazione fino a presentare un fegato malato a morte (steatosi). Come si può ipotizzare che sia kasher il prodotto un animale deliberatamente torturato e reso gravemente e irrecuperabilmente invalido? Il foie gras non dovrebbe essere considerato kasher, anzi è folle ritenerlo tale.
La pratica dell’ingozzamento forzato delle oche dovrebbe essere considerata un reato anche ai sensi degli art. 544bis e ter del codice penale: “Art. 544bis. Uccisione di animali. Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da 3 mesi a 18 mesi.” . “Art. 544ter. Maltrattamento di animali Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da 3 mesi a 1 anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se dai fatti cui al primo comma deriva la morte dell’animale.”
Su queste basi la produzione e il consumo di foie gras dovrebbe essere vietata per sempre, non solo nei ristoranti kasher.
Fate il Seder (1) vegetariano!
MARIO FUA' (Gerush92)


(1) Seder, in ebraico סדר, significa "ordine", in questo caso sta per Seder di Pesach, una cena che si consuma con cibi particolari in un ordine rituale preciso nelle prime due sere della festa di Pesach. Durante il seder si legge l'Haggadà, cioè il libro che narra della liberazione degli Ebrei dalla schiavitù.


IMMAGINE. Un tradizionale piatto di Pesach con i cibi simbolici rituali, dalla matza (pane non lievitato) alle radici amare, dall'uovo al sedano, dall'osso ad un impasto a base di noci.


JAZZ. "Ruby, my dear" è un celebre brano, ben utilizzato anche dal jazz, che forse oggi potrà apparire di grande attualità per ragioni, diciamo così, extramusicali. Eccolo in un bel
video nell'interpretazione della cantante Carmen McRae.

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09 aprile 2011

ECOLOGISTI. Appello ai Verdi: dopo i tanti errori serve un movimento nuovo

I tanti gruppi locali di cittadini anti-Casta e anti-politica che sono sorti in Italia contro i privilegi di governanti, uomini politici e amministratori, la corruzione pubblica, l'inquinamento dell'acqua, il verde pubblico, gli inceneritori, le centrali nucleari, e per le più diverse campagne per qualche "bene comune", sono il fenomeno sociologico più singolare degli ultimi anni. Sono anti-politica, ma non sanno di fare politica, eccome, sia pure con uomini e mezzi inadeguati. La prima impressione, suffragata da tanti fatti e dichiarazioni, è che non confluiranno mai, tantomeno ora che stanno assaporando il loro momento di gloria locale, nell'auspicato Grande Soggetto Unico che dovrebbe succedere ai Verdi. Anche perché l'ecologia e l'ambiente non in tutti i casi sono la motivazione principale. Così fornendo la scusa a Bonelli e C., che hanno detto di voler traghettare quel che resta dei Verdi in un'area bipartisan "né Destra, né Sinistra", per tentare ancora una volta di far da soli, ignorando questa nuova, diffusa realtà "civica". E sarebbe un altro errore. Noi non vogliamo i vecchi Verdi italiani, che tanti errori hanno compiuto, riciclati sotto un altro nome, vogliamo che tutti ricomincino da zero - Verdi e non Verdi - e fondino il soggetto unico degli Ecologisti Italiani. Anche se l'Italia non è né la Germania, né la Francia, e noi ecologisti italiani non abbiamo una testa lucida e carismatica, capace insieme di ideali e realismo, come Cohn-Bendit, abbiamo bisogno subito del soggetto unico di riferimento auspicato da Europe Ecologie. Ma se i comitati locali o le "reti" di cittadini rifiutano in modo aprioristico, religioso, come stanno facendo, i contatti coi Verdi esistenti, che asseriscono (e andremo a vedere se questo è vero all'Assise di maggio) di essere diversi e distanti dai Verdi precedenti, se insomma lasciano soli quei pochi Verdi sopravvissuti e critici, quelli rifanno i Verdi alla vecchia maniera. Elementare, Watson. E se non vorranno perdere definitivamente credito, anche loro, i Verdi residui, all'annunciata Assise rifondativa si dovranno presentare solo come ex-Verdi, senza approfittare di posizioni di partenza avvantaggiate. Questo il senso, solo questo, del seguente appello-sfida ai Verdi e ai gruppi civici. D'altra parte, gli appelli si indirizzano più alle forze esistenti, per quanto minime, nonostante le si sia sempre criticate (cfr. un esempio tra tanti) che a quelle sorgenti, anzi di là da venire. Ma purtroppo vediamo fin d'ora che ci sono veti e antipatie reciproche apparentemente insanabili. I Verdi diffidano degli anti-Casta e anti-partiti, sentendosi messi come tutti i partiti sul banco degli accusati. Che non è l'atmosfera psicologica migliore per due componenti che dovrebbero unirsi. I gruppi locali e le reti di cittadini, dal canto loro, non danno il minimo credito alla Costituente Ecologista promossa da Bonelli ormai un anno fa, considerandola un espediente gattopardesco per lasciare tutto così com'è, e per rilanciare i vecchi e screditatissimi Verdi con altro nome. E potrebbero avere anche ragione, visti i precedenti. Però in politica, come nel gioco del poker, bisogna andare a vedere, e dare un minimo spazio alla speranza. Fino a prova contraria, s'intende. Chi si lascia, invece, condizionare emotivamente da preconcetti o passate delusioni è meglio che non si avvicini alla politica. Che a suo modo è un gioco razionale. Il guaio è che i "civici", forse inebriati dalla momentanea notorietà locale, com'è successo ai fans di Grillo caduti in un delirio di onnipotenza, senza conoscere l'abc della politica sembrano crogiolarsi nelle nuove vesti di "politici", sia pure dilettanti, e perciò hanno tutto l'interesse a darsi tempi lunghi. Non capiscono che la gente non capirebbe e che bisogna confluire subito e fondare il Soggetto Comune, con tutti, nessuno escluso. Con chi ci sta. E non ci devono essere simpatie e antipatie, se non vogliamo ridurre le scontro delle idee a litigio da lavandaie. Ci si riunisce attorno ad un progetto, anche con la persona più antipatica del mondo, anche se lo sospettiamo di avere retropensieri. Prendiamolo in parola. Ma se, beninteso, l'ambiguo politico Verde si rimangia i patti, lo denunciamo al tribunale dell'opinione pubblica. Ma le diffidenze e paure infantili non servono a nessuno, se non a ritardare un processo storico. Che rischio c'è? L'ideale, certo, sarebbe riunirci tutti prima dei Referendum, lo capirebbe anche un bambino. Ma, sarà che la politica attira gli irrazionali, fatto sta che è inutile farsi illusioni al riguardo: questa "fretta" sembra ad alcuni "civici", ad alcuni "retini" (tranquillo, proto, non manca una c), insopportabile, perfino sospetta.

In occasione del Seminario "Idee e contenuti per un progetto di rete italiana degli Ecologisti e Civici", promosso dal Gruppo delle Cinque Terre e da altri gruppi, che si è tenuto sabato 9 e domenica 10 a Bologna (La Scuderia, piazza Verdi 2), ecco qui di seguito il mio intervento, del tutto personale e che non coinvolge minimamente gli amici delle Cinque Terre, che era stato preannunciato nel programma col titolo "Per un nuovo soggetto politico: lo specifico ecologista e civico". Si tratta di una rassegna dei principali problemi che riguardano l'ecologismo italiano, a partire dalla fondazione negli anni 80, che si conclude con un appello ai Comitati Civici locali, e soprattutto ai Verdi, perché pur con i loro gravi difetti sono di fatto l'unica sigla già conosciuta al largo pubblico e alla stampa, perché smentiscano gli errori passati e diano finalmente luogo, uti singuli e insieme ai Comitati civici, per mezzo della Costituente Ecologista, come hanno promesso, al nuovo soggetto bipartisan, né Destra né Sinistra, degli Ecologisti Italiani. Ecco il testo:

LA NOVITA’ NELLA SOCIETA’. La nascita di una rete insieme ecologista e civica, trasversale ai partiti e agli schieramenti, è forse l’unica novità politologica e sociologica nel panorama italiano degli ultimi anni. Per la prima volta i temi dell’ambiente sono riportati, com’è giusto, al soggetto primario, al dominus della società liberal-democratica: il cittadino. Si torna insomma alle origini storiche del contratto tra cittadini e Stato, in cui – sia chiaro – il Potere scaturisce dai cittadini, non dallo Stato, che ne è soltanto un’espressione, come dire, "tecnica", istituzione nata per gestire il funzionamento della società, dirimere le controversie e assicurare col minor spreco di risorse e il massimo vantaggio possibile il bene comune.

IL LIMITE, CURIOSA ANALOGIA TRA DIRITTI E AMBIENTE. E nel nostro ordinamento fondato sulle libertà sorprende l’analogia con l’ecologia: la teoria del limite. I cittadini, in sostanza, convengono tra loro di limitare ognuno, un poco, il meno possibile, l’ampiezza dei propri diritti non assoluti e personalissimi (quindi, non il diritto al nome, alla vita, all’integrità fisica ecc, che sono non limitabili e indisponibili), purché tutti i cittadini possano godere di tutti i diritti possibili, presenti e futuri. Questa la grande invenzione giuridica della nostra democrazia liberale. Ed è davvero illuminante l’analogia tra questa teoria del "limite dei diritti individuali" (perché la loro area di godimento sia la più allargata possibile, quindi anche ai non ancora cittadini, agli stranieri ecc), e la teoria del limite nell’uso delle risorse e dell’ambiente che è tipica della Natura, e quindi dell’ecologia. Dove ognuno può usare del bene comune fino a quando questo resti disponibile anche per tutti gli altri. Per esempio, tutti possono attingere ad una fonte comune o all’acqua di un acquedotto, ma con dei precisi limiti: non inquinarla, non versare sostanze tossiche sui terreni attigui, non deviarla, non attingerne in eccesso solo per sé, non sprecarla, contribuire ai costi e ai lavori di protezione ecc. In questo modo, grazie ai limiti, tutti potranno goderne.

LOCALISMO, ANTI-CASTA E ANTI-CORRUZIONE, MA… Ma torniamo al fenomeno nuovo della rete di comitati, gruppi, associazioni ed altre espressioni dei cittadini, creata dal basso spontaneamente, attivata per i mille problemi di natura, territorio, ambiente, salute e igiene pubblica (dall’arsenico nell’acqua "potabile" alle costruzioni abusive nei parchi protetti, dalle esalazioni delle discariche ai fumi delle centrali a carbone, e così via, di scandalo in scandalo), ma anche riportata giustamente alle tendenze primarie dell’uomo, dall’autoproduzione, agli scambi, dall’anti-consumismo a nuovi modi di socializzare, scambiare, consumare, produrre e stare insieme (gruppi di acquisto, eco-hub, banche di beni e servizi, bio-villaggi ecc), insomma direttamente a quello che perfino una famosa Costituzione definisce lo scopo ultimo della vita umana, la felicità. Non c’è dubbio che un tale composito movimento che per la prima volta vede uniti, a dirsi le medesime cose, giovani e vecchi, economisti e ragazzi alternativi, contadini e ingegneri, liberali e comunisti, Destra e Sinistra – e questo dimostra che è una vera emergenza – ha tratto esperienza dal vasto e spezzettato localismo che aveva chiamato i gruppi e comitati di cittadini a contrapporsi al Potere – mal esercitato e mal rappresentato da veri professionisti privilegiati e autoreferenziali (la cosiddetta "Casta", per usare un fortunato termine giornalistico) – anche su temi squisitamente politici o di rappresentanza. I cittadini, spesso privi di ogni esperienza politica, specialmente nei piccoli Centri e nelle città di provincia per problemi locali, e in generale tutta l’opinione pubblica nazionale, in questo ben rappresentata da stampa e tv, hanno sviluppato negli ultimi anni una vera e propria contrapposizione al Potere e ai suoi organismi istituzionali "professionali" (perché ormai quella di rappresentare i cittadini è diventata per molti, troppi Italiani, una professione): le Regioni, le Province, gli Enti e le Società pubbliche, il Governo, il Parlamento, i Partiti. A questi in Italia si aggiunge spesso anche la Chiesa, storicamente vista come Potere o pre-potere al pari degli altri. Ma una volta eletti sapranno, sapremo, resistere alle Sirene del Potere?


IL CITTADINO, UNICO SOGGETTO DEI DUE MOVIMENTI. I due filoni, quello ecologista, cioè il movimento politico fondato sull’ecologia, e quello civico, col quale cioè i comitati di base dei cittadini manifestano la volontà di riprendersi, almeno in parte, il Potere che avevano alle origini delegato ai propri rappresentanti, riscoprendo anche la democrazia diretta (la famosa "libertà degli Antichi", per Constant), si sono di fatto saldati. Perché, si è scoperto subito, i soggetti attivi sono gli stessi, i cittadini, e perché anche gli oggetti del contendere (i diritti di libertà e i diritti al godimento dei beni comuni e alla salute) sono analoghi tra loro. Questa la grande novità.


NUOVO SOGGETTO: DALL’IPOTESI A (SCIENTIFICA) ALL’IPOTESI B (POLITICA). Anche chi come me era convinto fin dagli anni 70 (e lo dissi all’assemblea che fondò i Verdi nel Lazio nell’81 e poi a quella nazionale di Firenze dell’84), e ancora resta in parte dell’idea, che solo la "ipotesi A", il ritorno alla "ecologia", cioè una riconversione dall’ecologismo politico alla pura ecologia scientifica – di per sé super partes, bipartisan, neutrale e "tecnica", quindi cogente e doverosa per tutti, immediatamente, senza diatribe e ritardi politici – avrebbe reso velocissimo il ricambio sociale e psicologico verso un ambiente fisico e perfino etico-politico diverso, riabituando, rieducando i cittadini ad un modo nuovo di vivere, consumare, produrre, scambiare e godere del bene comune; insomma anche chi era incerto come me sulle possibilità rifondative dell’ecologismo politico (e la realtà in Italia e altrove mi ha dato ragione) deve però ammettere che anche questa, chiamiamola, "ipotesi B", quella di un nuovo grande, unitario, soggetto ecologista, ovviamente terzista, bipartisan, trasversale, critico e molto severo contro tutti, ma liberale e non-violento nei metodi, e basato sempre sulle sicure acquisizioni della scienza e della tecnica (v. oggi la questione nucleare: senza le proiezioni della scienza – tanto odiata stupidamente da alcuni – oggi saremmo in mano ai reticenti comunicati stampa di Governi e produttori di centrali…) sarebbe, sarà, un fattore di libertà e cambiamento per i cittadini. Purché, certo, il futuro Soggetto unico ecologista (e civico: ecco la novità che si è aggiunta) non si trasformi a poco a poco in uno dei tanti, soliti Partiti, con i suoi privilegi, la sua tipica separazione e lontananza dai cittadini, la mentalità dei professionisti della politica contrapposti ai "dilettanti" (la base dei cittadini), le intese e mediazioni immancabili con le altre forze politiche, il do-ut-des (tu mi concedi una pista ciclabile, che è una cosa che si fa vedere e mi serve per le elezioni, e io ti concedo l’innalzamento dei minimi di arsenico, che tanto non lo vede nessuno).


ERRORI PASSATI, E SPERIAMO NON ANCHE FUTURI. Ecco, i Verdi sono stati anche questo, purtroppo: un partito qualunque tra partiti qualunque. Fatto da impreparati, improvvisatori e orecchianti. Proprio come gli altri. Ricordo ancora l’amico Rutelli, portavoce dei Verdi, esibire ai giornalisti, senza che nessuno di loro obiettasse, un motoscooter come esempio di mezzo di trasporto tipico di una "vita ecologica" (!). Tale era l’ignoranza personale dell’intera classe politica ecologista, non dirò in fatto di Naturismo, che sarebbe eccessivo perché questa filosofia di vita vuole una certa coerenza con se stessi anche quando nessuno ci vede, ma almeno dell’abc dell’ecologia urbana. Basti dire che in 30 anni di escursioni nella Natura nel Centro Italia non ho mai incontrato una sola volta un esponente ecologista a me noto. Insomma, quella sedicente "Verde" è stata una classe politica come tutte le altre, poco credibile individualmente, che ha intrapreso la professione politica di "ecologista" solo perché si era aperto uno spazio politico. Per non parlare, poi, del sinistrismo inutile e parolaio (compensativo del moderatismo pratico a cui erano condannati?), che non serviva alcuna causa ambientale, visto come dissi più volte nelle assemblee di fondazione dei Verdi che "l’aria e l’acqua, le foreste, le montagne e la salute non sono né di Sinistra, né di Destra, ma di tutti, ed anche la vecchietta reazionaria col cane, nonostante non ci sia simpatica, dobbiamo onestamente rappresentare", se non altro… per il cane. Ma così non fu, e subito i Verdi divennero un partito di Potere e moderato, troppo moderato, sulle questioni ambientali sue proprie, e invece estremista (a parole) sulla politica generale, dove a rigore non avrebbe dovuto neanche pronunciarsi prima di aver risolto innanzitutto i temi suoi tipici.


LA COSIDDETTA COSTITUENTE ECOLOGISTA. Ora, perciò, agli amici Bonelli e Boato che lo scorso anno ruppero con quella storia sbagliata impegnandosi solennemente a creare un nuovo soggetto ecologista trasversale, dando vita ad un’apposita Costituente Ecologista (alla quale ho, abbiamo, aderito con entusiasmo e speranza), con questo attirando di nuovo vecchi e nuovi ecologisti, dico: che aspettiamo a mantenere la promessa, a passare dalle parole ai fatti, dal participio presente ("costituente") al participio passato, cioè ad un soggetto di Ecologisti Italiani bell’e costituito? Il tempo stringe. Dopo la tragedia della centrale nucleare giapponese c’è una nuova sensibilità in giro, perfino in Italia, e l’ostilità al nucleare e ai disegni reazionari sull’acqua e sulle risorse del cittadino si va estendendo a tutti gli strati sociali e ai cittadini di ogni tendenza. Mancano solo due mesi ai referendum, e sarebbe bello, perfino vantaggioso, che ci si presentasse alla gente con il soggetto unitario fatto. Che cosa, chi, ce lo impedisce? Perché e con quali finalità si attende? Che cosa c’è dietro che non si può dire o sapere? Oppure si crede, visto che l’emergenza nucleare pare volgere mediaticamente a nostro "favore", di passar sopra al disegno unitario e riproporre ancora, fuori tempo massimo, la vecchia sigla dei Verdi, ahimé non più spendibile psicologicamente in campagna elettorale perché rifiutata dai cittadini? Queste sono le domande che inquietano più d’uno, e non solo nei gruppi delle Cinque Terre e della Rete dei Cittadini.


PERCHE’ L’ITALIA NON E’ LA GERMANIA. Perché, sia chiaro, qui non siamo in Germania. In Italia a differenza della Germania dove i Gruenen hanno potuto giovarsi del fatto che potevano rappresentare anche l’estrema Sinistra, le donne, le minoranze, i diritti civili, i gay ecc., noi italiani abbiamo avuto da 60 anni tutti i partiti possibili, perfino 4 diverse sfumature di partiti comunisti alle medesime elezioni, i Radicali, e vari partiti di estrema destra. Tutti partiti sconosciuti in Germania. Ecco perché, in un mercato elettorale già saturo come quello italiano, ai Verdi, pur facendo loro grazia dell’inadeguatezza personale, non si presentava che uno spazio minimo, che i loro errori gravi hanno dilapidato. Fatto sta che ormai il pubblico elettorale – e la questione nucleare non basterà a farlo ricredere – si è allontanato dal logo Verde, mai radicatosi effettivamente sul territorio, ma sempre rimasto pura sigla di vertice.

PROPRIO ORA CHE LA GENTE, PERFINO IN ITALIA, SI SCOPRE "ECOLOGISTA". Mentre è sotto gli occhi di tutti (come rivelano le indagini demoscopiche) che sull'ambiente, sulla critica ai privilegi e alla corruzione della classe politica, e sulla tutela degli interessi di base dei cittadini ci sarebbe un ampio consenso potenziale per una sigla politica del tutto nuova.


SE NON ORA, QUANDO? E dunque se gli intelligenti Bonelli e Boato, a cui va la mia stima e a cui faccio ancora per un po’ di tempo credito, oggi non cambiano totalmente, a cominciare dal nome della "Cosa", se non mostrano con fatti concreti o non con promesse vaghe una soluzione di continuità col passato, se non si danno una credibile veste unitaria e onnicomprensiva di tutte le tendenze civico-ecologiste esistenti in Italia, se non si ricollegano finalmente con la nuova rete dei cittadini, non ritroveranno alcuno spazio elettorale e politico. Tantomeno ora, col ricordo ancora fresco d’una disastrosa crisi. Se i Verdi attuali, eroicamente sottrattisi al calderone della Sinistra di potere (di questo dobbiamo dargliene atto), faranno questa scelta secondo noi obbligata, non mancherà il nostro pieno appoggio costituente, pur nella sana dialettica delle posizioni e idee di ciascuno. Si può discutere se debbano prima sciogliersi e poi fondare il nuovo soggetto, o viceversa. Ma certo i tempi sono strettissimi. Se non ora, quando?


DIFFICOLTA’ DI UNA POLITICA GENERALISTA. Tornando al movimento civico-ecologista, certo, non possiamo nasconderci le difficoltà nuove di ordine identitario, politologico ed elettorale che derivano da questa nuova, insolita formazione. A differenza degli anni 80, quando noi fondatori Verdi parlavamo "solo" di ecologismo, rimandando con riserva mentale le soluzioni politiche alle ideologie personali, ed anzi proprio io e pochi altri ecologisti puri accusavamo alcuni Verdi di mescolare "ambiente e ideologia", cioè di fare programmi ambientalisti troppo generalisti e annacquati, dunque perdenti, rispetto alla forza delle ideologie tradizionali cattolico-marxiste, oggi l’allargamento alle nuove tematiche "anti-Casta" e il ritorno al mito della "democrazia diretta" o della "Repubblica dei Cittadini", oltretutto dopo più di 20 anni di ideologia municipalistica (Lega Nord), cambia tutto. Vuol dire, sicuramente, arricchire di frecce la faretra del nostro arco, ma anche rinunciare all’esclusiva del messaggio specializzato che solo noi, gli ecologisti per antonomasia, avevamo, e scendere – noi sprovveduti di potere comunicativo e finanziario, spesso solo giovani emergenti o vecchi ex dell’ambientalismo, del giornalismo o degli stessi Verdi – nell’affollatissima arena della politica "generalista", nella quale, si sa, tutti i partiti italiani possono sostenere con grande faccia di bronzo di essere "contro la corruzione", "contro la Casta" ecc., mentre nessuno o quasi potrebbe dire di essere per la tutela della natura, della salute pubblica o del patrimonio artistico. Del resto abbiamo già visto nascere veri e propri partiti fondati quasi unicamente sulla "onestà" del cittadino contrapposta alla disonestà della politica (l'Uomo Qualunque di Giannini, l'Italia dei Valori di Di Pietro) o contro le ruberie dei politici e delle Istituzioni ("Roma ladrona" era lo slogan della Lega Nord). Ma sono stati tutti, guarda caso, fondati e retti da capi carismatici, con poca o nulla democrazia interna. Altro che "democrazia dei cittadini". Ma, a parte quegli esempi, l’estensione oggi sensata e doverosa alla rete dei cittadini renderà paradossalmente più simile ai normali partiti generalisti il soggetto unico degli Ecologisti Italiani di là da venire. Questo potrebbe anche spiegare – se non ci fossero, come speriamo, altri retropensieri meno nobili – le esitazioni di qualche politico professionista Verde.


OTTIMISMO DELLA VOLONTA’. L’APPELLO FRATERNO AGLI AMICI VERDI. Ma conoscere i rischi ai quali va incontro rafforza, non indebolisce il movimento. L’ottimismo della volontà, l’avere dietro tanti cittadini che mai si sono interessati in precedenza di politica, deve prevalere sul pessimismo della ragion politica. Il cinismo deve cedere alla commozione per la nuova spontanea partecipazione popolare, oggi così rara. L’esigenza di un soggetto unico, davvero unitario, liberale e democratico al suo interno così da rappresentare tutte le tendenze già dette, ma molto severo sulle scelte "scientifiche", è ormai indiscutibile. Gli amici Verdi, ai quali abbiamo dato e diamo il nostro appoggio purché mantengano le promesse, devono utilizzare la Costituente Ecologista per fondare al più presto – l’ideale sarebbe prima dei referendum – il nuovo soggetto ecologista e civico degli "Ecologisti Italiani". E’ il nome che ho proposto a Bonelli, perché purtroppo non ce ne sono molti altri comprensibili e facili, a meno di non ricorrere a nomi fantasiosi, che comunichino novità assoluta rispetto al passato e che convincano gli elettori marginali, comprese le nostre madri o nonne, oggi finalmente antinucleari dopo Fukushima, ma in precedenza antipatizzanti dei Verdi. Rivolgo, perciò, un caldo appello agli amici Bonelli e Boato perché organizzino senza indugi una grande assise nazionale, veri e propri Stati Generali fondativi, nessun gruppo escluso, e su mozioni quanto più possibile unitarie, da cui far uscire una struttura degli Ecologisti Italiani ben formata e già pronta all’azione. E non è possibile che i Verdi si limitino (c'è la tentazione, eccome) a fagocitare gruppetti e comitati di cittadini: no, loro stessi devono - prima o durante gli Stati Generali - azzerare la loro sigla e aderire ex novo, come singoli, al Nuovo Soggetto. Alle medesime condizioni degli altri. Altrimenti non potranno lamentare la mancata adesione dei nuovi gruppi civici e anti-Casta. Ma devono far presto: abbiamo già perso troppo tempo. L’ambiente, la salute dei cittadini, la libertà e la giustizia non aspettano.
Questo ci attendiamo dagli amici Verdi e da noi tutti, ecologisti e cittadini delle reti civiche.

JAZZ. Il trombettista Freddie Hubbard in Children of the Night una registrazione televisiva in bianco-nero effettuata durante il Festival jazz di Sanremo nel 1963 (2:56). Un brano veloce ed entusiasmante.

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