29 aprile 2012

CORRUZIONE: sempre peggio. Rimedi possibili? La gogna o pene durissime.

costo-della-corruzione Dove ti giri, trovi corruzione, furti, concussione (perpetrata da pubblici ufficiali o da ministri), tangenti, stipendi e pensioni pantagrueliche. È difficile sapere a quanto ammonti questo bottino: i criminali coprono le tracce – per fortuna non sempre. Secondo Gherardo Colombo l’ammontare annuo nel 2011 è stato di 60 miliardi di euro (60 G€). Adottiamo la sua stima: è un esperto e ha condotto le inchieste di Mani Pulite, Imi-Sir, Lodo Mondadori, SME. La cifra che indica è grossa: il 4% del Prodotto Interno Lordo. Se la eliminassimo, la nostra economia crescerebbe più di quelle dei paesi nordici.

Speriamo che le scoperte di ruberie e appropriazioni degli ultimi mesi servano da deterrenti - ma: quale è stata la tendenza negli ultimi anni? Ai tempi di Mani Pulite il PIL era di 1.100 miliardi (in Euro odierni - oggi è di circa 1500). Quindi è verosimile che il bottino sottratto da corrotti e parassiti fosse di una quarantina di miliardi. Una fonte approssimativa, ma credibile, è Transparency International, organizzazione indipendente non governativa fondata nel 1993 da Peter Eigen, già della Banca Mondiale, che promuove trasparenza e responsabilità nello sviluppo internazionale. Dal 1995 questo gruppo pubblica ogni anno tabelle dell’Indice di Corruzione Percepito – valutato per ogni nazione (ne sono considerate 182) mediante ricerche e interviste a esperti, magistrati, commercianti, istituzioni pubbliche. È un indice qualitativo e approssimativo: vale 10 per un Paese ove la corruzione sia assente e vale zero se il Paese è profondamente corrotto. Nel 2011 la Nuova Zelanda sta al primo posto con un indice di 9,5 – all’ultimo posto Somalia e Nord Corea con un indice di 1. La tabella seguente dà numero d’ordine e indice di corruzione per l’Italia negli ultimi 20 anni.

ITALIA. INDICI DI CORRUZIONE

Anno

2002

2004

2006

2008

2011

Indice di corruzione

5,2

4,8

4,0

4,8

3,9

Posto in classifica

31

42

45

55

61

Transparency International 2011

La situazione è grave e peggiora. Le leggi ci sono: mancano indagini adeguate, principi etici condivisi ed equità. Sono ben noti casi di parlamentari incriminati e protetti da mancate autorizzazioni a procedere delle Camere. Il Consiglio d’Europa propose nel 1999 una convenzione Internazionale contro la corruzione su proposta di 19 Paesi. La Convenzione impegna gli Stati firmatari (riuniti nel Gruppo di Stati contro la Corruzione – GRECO con sede a Strasburgo [bellissimo e molto attuale l’acronimo, visto che la corruzione in Grecia è ancora peggiore. NdR]) a promulgare leggi adeguate che colpiscano pubblici ufficiali (nazionali o comunitari), parlamentari, funzionari e giudici per reati di riciclaggio, falsi contabili, corruzione passiva e attiva.

La Convenzione è stata firmata e ratificata da 43 Paesi. È stata firmata, ma non ratificata da: Austria, Germania, Italia, Lichtenstein, San Marino, USA, Messico. Non è stata nemmeno firmata da Canada, Giappone e Santa Sede.

L’11 Aprile scorso Transparency International ha censurato l’Italia per i trasferimenti eccessivi di fondi pubblici ai partiti politici. I nostri governi, che portano un ritardo di molti anni nel ratificare la Convenzione, hanno atteso che la situazione fosse svelata recentemente per reagire debolmente. I funzionari GRECO redassero il 2/7/2009 un lungo rapporto sulla corruzione in Italia. Andrebbe pubblicizzato e discusso ampiamente. Rileva autorevolmente fatti noti: legami fra corruzione e mafia; il governo ha mirato a incrementare l’efficienza della Pubblica Amministrazione, NON a prevenire e colpire la corruzione; molte condanne vengono evitate per decorrenza dei termini o per abuso dell’immunità. Il numero di condanne per corruzione pubblica, furto alla Pubblica Amministrazione, abuso d’ufficio e concussione è diminuito gradualmente da 3.627 nel 1996 a 494 nel 2006. Non era il numero dei reati a decrescere – dell’86,4 % in 10 anni! - diminuivano l’energia e la tempestività nel perseguirli. Il rapporto suggerisce nuove leggi, procedure e snellimenti, che dovremmo discutere ampiamente e apertamente. Non lo hanno fatto i nostri politologi.

Lassismo e apatia sono stati anche favoriti da ingenue teorie. Secondo Robert Klitgaard (“Controlling Corruption”, University of California Press, 1991) e consulente di 21 governi, la corruzione si combatte con i controlli, che costano. Più corruzione si elimina, maggiori sono i costi. Oltre un certo limite la società spende di più per i controlli di quanto risparmi in corruzione evitata: conviene tollerarne piccole dosi. Sono bizantinismi, dato che le dosi sono massicce.

Oltre a leggi più stringenti ed efficaci, ci vuole una riscossa morale. Non servono a produrla le prediche dei guru. La può esprimere il pubblico (la società civile?). E’ già accaduto. Mezzo secolo fa nessuno avrebbe creduto che gli italiani avrebbero smesso di vantarsi di non pagare le tasse, di fumare al cinema, di gettare cocci dalla finestra l’ultimo giorno dell’anno, di non superare 130 km/h in autostrada. Invece lo hanno fatto e reagiscono ai trasgressori. I corrotti e i concussori, vanno bloccati prima che si ritirino latitanti nelle ville comprate all’estero con il bottino. L’Italia deve ratificare la citata convenzione del 1999 per rendere più agevoli gli espropri di immobili e capitali in Paesi stranieri.

Servono deterrenti più efficaci. Ad esempio, corrotti e concessori devono essere esposti alla gogna. Non vanno legati in piazza a blocchi di legno e bersagliati con frutta marcia. Una riforma della giustizia dovrebbe istituire fustigatori che in rete e sui media descrivano i loro reati, l’odiosità dei danni che arrecano, la loro infima meschinità, il penoso cattivo gusto.

Paolo Menaspà mi ha scritto: “Poche settimane fa in Australia ho visto una trasmissione TV nella quale si parlava di criminalità.. C'erano le interviste agli amici e alla moglie del criminale, tutti estremamente stupiti che affermavano: "lo conoscevo molto bene, sembrava una persona normale. Non avrei mai potuto immaginare nulla di simile", etc. Anche il criminale in persona veniva intervistato. Si vergognava del suo passato, e nonostante avesse scontato la sua pena, scelse di cambiare città perché non riusciva a sopportare gli sguardi della gente. Mi ci vollero quasi 10 minuti per essere certo di non aver frainteso che il criminale era un evasore.”

“Mi sono documentato. Era una famiglia con madre settantaduenne e due figli quarantenni che avevano fondato un’azienda per produrre vestiario. Avevano avuto un successo notevole. Erano ricchi, benvoluti, facevano beneficenza, ma non pagavano le tasse. Un vecchio amico della mamma li denunciò e le loro telefonate furono intercettate. All’inizio delle indagini si dichiararono colpevoli di non aver pagato imposte su 11 trasferimenti di denaro, ciascuno inferiore a 10.000 dollari. L’Ufficio Imposte, però, constatò che in 10 anni avevano evaso le tasse su un volume di affari di 17 milioni di dollari. Dovettero pagarle, oltre a una penale di sette milioni di dollari. Ciascuno dei tre fu condannato a otto anni e mezzo di prigione sebbene fossero incensurati. La sentenza prevedeva che non avrebbero potuto chiedere la libertà vigilata prima di cinque anni e mezzo.

“Va ricordato, inoltre, che la legge australiana punisce l’evasione fiscale con pene detentive anche più alte: fino a 10 e a 20 anni. È un esempio che va meditato ed emulato. Sembra che questa severità – unita a convinzioni etiche condivise – sia un deterrente efficace, forse più del fustigatore mediatico che proponevo. Notiamo che l’Australia non è il Paese in cui la corruzione è al minimo mondiale. Sta solo all’ottavo posto. Come dicevo, i più virtuosi sono i Neozelandesi. Ecco la lista dei primi dieci, secondo Transparency International: 1 Nuova Zelanda, 2 Danimarca, 3 Finlandia, 4 Svezia, 5 Singapore, 6 Norvegia. 7 Olanda, 8 Australia, 9 Svizzera, 10 Canada, Al 69° posto, a pari demerito, in ordine alfabetico: Ghana, Italia, Macedonia, Samoa”
ROBERTO VACCA.

JAZZ. Lo stupendo St. Louis Blues inciso nel 1929 (leader e organizzatore vero era il poco noto, ma grandissimo Louis Russell, che costituì la migliore e più potente sezione ritmica di quei tempi), in cui svetta la tromba di Armstrong, già incline, però, a vocalizzare. Ecco la formazione dello storico brano: Louis Armstrong (trumpet), J.C. Higginbotham (trombone), Albert Nicholas (clarinet), Pops Foster (bass), Otis Johnson, Henry “Red” Allen (trumpets), Charlie Holmes (alto sax), Teddy Hill (tenor sax), Luis Russell (piano), Will Johnson (guitar), Paul Barbarin (drums). Composed by W.C. Handy.

21 aprile 2012

TWITTER e gli snob: 140 caratteri per il nulla. E anche con understatement.

guida-twitter-italia-150x150 Twitter non mi piace. E non mi piace perché è platealmente inutile. E proprio di questa evidente inutilità si fa forte per mostrarsi quello che realmente è: tecnologia fine a se stessa, giochino da sedia a sdraio sotto l’ombrellone (o poltrona da ufficio, che differenza c’è?), pura chat (senza dirlo), innocua eccentricità da perditempo retribuiti, consumismo ridondante, insomma puro snobismo.

Tutto quello che si può dire e fare con Twitter lo si può dire molto meglio, con maggiore visibilità, chiarezza e velocità, e con più concetti e sfumature, in tanti altri modi. Ma a che serve questo paragone razionale: qui è chiaramente il mezzo che deve prevalere sul contenuto. E il fatto che ormai lo usino in tanti, impiegati e studenti compresi, non più solo le minoranze auto-elette, non vuol dire nulla. Anzi, è la dimostrazione che si trattava proprio d’un fenomeno di imitazione, anch’esso snob.

E che siano ormai in tanti a fingersi happy few, i felici pochi, è tipico, appunto, di ogni fenomeno snobistico. Sine nobilitate, eppure ci tengono, eccome, a mostrarsi in qualche modo “aristocratici” i borghesi – in genere appena “arrivati” o dalla provincia o dalla massa anonima, grazie ad entrature nella politica o nel giornalismo, le due frontiere più facili che permettono di passare con tutti gli onori e i benefit dalla massa dei volgari cafoni senza nome all’Empireo dei Raccomandati.

Lo snobissimo (sempre così, quando si vuole vendere qualcosa di difficile, quasi impossibile, col mercato già saturo di telefoni mobili, social network tipo Facebook, Newsgroup, Forum, Blog e computer...) Twitter mi ricorda certi salotti "bene" di belle signore – che poi belle non sono mai, ma proprio mai (lo snobismo continuo genera stress) – che danno ad intendere di essere colte (il che è tutto da dimostrare, visto che non parlano) solo perché invitano giornalisti noti (v. sopra), finanzieri (ma non della Guardia di Finanza: se ne guarderebbero bene!), politicanti, faccendieri della sotto-cultura e altri animali del genere.

Ebbene, lo snobismo consiste nel non affrontare alcun tema, ma solo nello sfiorarlo con allusioni lievi o ironiche, come “tra color che sanno”. In realtà, solo la filippina che li serve a tavola crede che l’allegra brigata pensi qualcosa di più elevato dell’uomo della strada. Chi dovesse sollevare tra una tartina e un calice un problema vero verrebbe visto come un insolente e rozzo burino infiltrato, da quel momento in poi trattato con freddezza e mai più invitato.

Tutti così gli pseudo-salotti-bene di Roma. Conta l'esserci, non il dibattere. Bisogna dire e non dire, semmai parlare di persone, accennare a mutandine e diete, giro-vita e corna, ma non affrontare il mondo delle idee. Questo è tabù. Ben altra cosa dovevano essere i veri salotti del 700 e 800. Insomma un insopportabile minimalismo sottoculturale. Anche perché se sono davvero "persone di successo" lo devono soprattutto al fatto che non hanno mai espresso idee, non si sono mai scoperti.

Ecco perché per questi "vorrei ma non posso" del presenzialismo la messaggeria minimalista di Twitter (140 caratteri) calza come uno slip degli anni 60, è quello che ci vuole per sentirsi magri di opinioni. Va benissimo per sentirsi snob con battute leggere e anodine tra catene di "amici o follower che sfiorano il niente. Però ci sono. Anzi, “c’erano”, confermerà sempre a cose avvenute (mai che inviti prima) l’ex bancario D’Agostino, cantore di quel genere di eventi, che avendo “svoltato” ambiente, rappresenta egregiamente, vedendolo sempre dal basso, lo snobismo conclamato ed esibito (se no, che snobismo sarebbe? Avete mai sentito parlare di uno snob introverso e casalingo?).

Vi ricordate le carovane di "amici" che contano, per lo più romani e milanesi (ma che male hanno fatto queste due città?), i famigerati happy few, sempre i soliti, quelli che hanno sempre paura che uomini e donne comuni, quasi sempre più intelligenti e bravi di loro (o forse è per questo?) si intrufolino nel loro entourage, quelli che si trascinano da Cortina alla Costa Smeralda e alle Eolie, portandosi appresso estimatori, amanti, figli, cani, computer, Ipod, Ipad, tre cellulari, parrucchieri e cuochi (in ordine inverso d’importanza)? Ebbene, hanno trovato il modo di tecnologizzare la loro stupida catena difensiva  snob con Twitter. Sembra fatto apposta. Deve essere stato inventato da un cretino sulla difensiva come loro.

Ma sì, è come quando la signora padrona di casa, quella che fa gli inviti “a pochi amici” (tra gli snob, come tra i sedicenni, si diventa subito “amici”: è più facile che su Facebook), dice in fine serata: "Ragazzi, allora d’accordo, venerdì venite tutti da me, a Salina".

Se la studentessa scrive su sms “Che palle il prof di storia”, non fa né Storia, né tendenza. Ma se il presidente senza competenza di un Ente di Stato o un commentatore politico dalla sintassi contorta lancia eroicamente il messaggio via Twitter dalle perigliose trincee del sottobosco politico, del tipo “La ministra ha delle belle gambe: l’unica cosa bella di questa conferenza stampa”, ecco che diventa poco meno che un eroico inviato in zona di guerra, a rischio della vita tra talebani e truppe di Bush.

Cioè, il bello di Twitter non è che cosa vi si scrive (con 140 caratteri, compresi i refusi, c’è poco da scialare; la lingua regredisce come negli sms in fonemi smozzicati al livello dei trogloditi), ma chi lo dice, e soprattutto chi lo fa sapere in giro. Ma allora, scusate, meglio la sana studentessa maniaca di Facebook. O la commessa che scrive nel sms “Aó, che famo? Domani venite tutti da me a Genzano”. Non esprimerà concetti, non farà tendenza, ma almeno da lei si mangerà meglio. E una volta arrivati a casa sua si potrà pure discutere o fare di qualcosa di serio o divertente.

JAZZ. Come Bach avrebbe fatto jazz. Il tedesco-americano Bix Beiderbecke e il suo gruppo in un apollineo Singing the Blues del 1927, eccellente esempio cool, cioè genialmente rilassato e insieme ritmico, del jazz bianco. Ma è l’europeismo d’un bianco che aveva studiato, inseguito, copiato e ammirato Armstrong e le orchestre dei neri. E c’è l’estrema, geniale, sintesi, segno sempre di arte riuscita.

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