04 novembre 2014

OLIO EXTRAVERGINE. Ma se non lo sai conservare, per te un olio vale l’altro.

Oliera vetro trasparente con olive erbeSembrava un tormentone della provincia più agreste e popolare, di quelli che fanno colore e portano subito al tinello, alla tovaglia a quadri rossi e alla cantina, ma ora si è spostato nei salotti buoni, negli uffici e sui giornali, anzi è diventato un coro nazionale da tragedia greca: «Come faremo? Quest’anno ci sarà poco o pochissimo olio extravergine di oliva. Aiuto!». Ma non cadete nel tranello, perché la solita speculazione dei produttori è in agguato (grazie alla complicità di siti web e tv, e alla stupidità dei cittadini consumatori).

In attesa di morire di fame senza le adorate bruschette, le inutili e dannose (energeticamente, visto che sono ultra-sedentari) pastasciutte “ajo e ojo”, senza i pesantissimi “primi”, i “secondi” e i contorni galleggianti su laghi di trigliceridi degli acidi grassi, i 50 milioni di Italiani ex-Politologi, ex-Allenatori della Nazionale di calcio, ex-Gastronomi di Alta Classe, ex-Stilisti di Alta Moda, ex-Piloti di Formula Uno, ex-Esperti Motoristi, ex-Ricercatori Medici, ex-Enologi, ex-Sessuologi ecc. ecc., si sono tolti doppiopetto grigio o maglietta azzurra e hanno indossato la tuta verdina da olivicoltori e il càmice di assaggiatori patentati dalle Regioni. Tutti ora esperti di olio. Ovviamente “Evo”, extravergine di oliva (gli altri ufficialmente non esistono per loro, eppure di nascosto il semplice olio di oliva e perfino il forte olio di sansa, li comperano, eccome, magari per friggere…). Tanto che i più tonti o furbi di loro sul web (sponte sua o d’accordo con gli speculatori?) stanno già battendo la grancassa del business per conto altrui: «Eh, quest’anno, signora mia, prepariamoci a un rincaro dei prezzi...». Si sa, gli allarmisti e i paurosi sono anche stupidi. Anzi, no: molto, troppo intelligenti!
ampolla olio ulivo tappo sughero
Diciamo basta a questo snobismo pseudo-raffinato dettato dal provincialismo e dall’ignoranza scientifica. Tutti cercano, pretendono, l’olio “buono”, “di frantoio”, perfino “spremuto a freddo” o “biologico”. E perfino il pensionato, la casalinga qualunque, l’impiegato, poveretti, spendono un sacco di soldi per un olio Dop. Ma poi non ne sono all’altezza. Anzi, questa esigenza perfezionistica è del tutto inutile e ridicola, perché non tiene conto di come l’olio è prodotto e conservato, e di quanto se ne deve usare al giorno.

Non se ne può più dei Fantozzi che si disinteressano della qualità di farine, pane, pasta, verdura e frutta che mangiano o devono mangiare a chili ogni giorno, che ingurgitano carni e salumi e grassi schifosissimi e dannosi, e poi si fissano a fare i preziosi su un condimento che possono usare solo a grammi. E’ facile fare gli “esigenti” su un condimento e transigere sui cibi di base, vero? Così, appena si sente odore di sciocchezze, errori di massa, luoghi comuni (popolari o no), ignoranza per l’abc delle scienze, e soprattutto snobismo idiota, l’adrenalina va a mille e l’impellente sorge il bisogno di togliersi dalla scarpa due paroline sull’olio extravergine, famigerato mito dell’Italiano Medio, che come ex contadino inurbato crede di saperla lunga su queste cose.

Come fare a capire subito se un olio è buono o discreto? L’unico vero elemento da valutare, senza tanti snobismi di prezzo, nomi, tenute, casolari, cru ecc., è la qualità organolettica minima, che si divide in due valutazioni immediate:

1. leggero profumo di erba o di frutta che deve scaturire già aprendo il tappo e poi anche dopo averlo versato su cibi neutri e non conditi, meglio se amidacei e caldissimi (pastasciutta, riso, minestrone, patate bollite, legumi ecc.), ma anche verdure cotte e insalate non aromatiche, tutte pietanze che dovranno anche essere un poco rimestate.
2. leggero sapore di nocciole e-o di frutta ed erba, che può (anzi, deve, tanto più l’olio è fresco) avere una coda piccante in gola, anche molto forte, e sia nel primo gusto sulla lingua, sia nel gusto centrale, sia nel retrogusto non deve mai ricordare i depositi di morchia, la sansa, il rancido, l’olio minerale di motore, gli idrocarburi.
E invece, perfino famosissime marche da supermercato, oli di color verde acceso e un poco opachi, definiti “non filtrati” o di gusto “rustico” per attirare gli ingenui amanti del frantoio, in realtà hanno un pessimo odore e gusto di morchia. Altri oli, invece, definiti dalla pubblicità “di gusto delicato”, non hanno né odore né sapore, come gli oli di semi.
Perciò va bene qualsiasi olio, anche di costo contenuto e perfino basso, che abbia almeno un minimo di aroma fresco e di sapore fresco, sia pure con una coda piccante, ma che non ricordi la morchia. Tutto ciò che è in più è, appunto, “grasso che cola”, e perciò con quello che costa va valutato: vale davvero la pena? Ognuno di noi dovrebbe chiedersi: “Sono in grado di permettermelo? Cioè non solo di acquistarlo, ma anche di conservarlo e usarlo?

E invece, numerosi oli extravergini noti hanno un gusto mediocre o pessimo, tanto da essere stati declassati da "extra" a "vergini" in un accurato test effettuato dal laboratorio chimico di Roma dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, uno dei più qualificati in Italia. 

Ecco, perciò, un breve ma efficace test in quattro domande, che noi stessi dobbiamo farci, per accertare se meritiamo o no un olio extravergine di qualità o dobbiamo invece accontentarci di quello economico svendute a pochi euro nei supermercati, senza tanti grilli per la testa:

1. LUCE. A tavola, in cucina, al ristorante, l’olio extravergine di oliva che consumate è contenuto nell’oliera classica di vetro trasparente, o in una qualsiasi bottiglia o fiaschetta, sia pure artistica ed elegante, ma di vetro chiaro? E siete sicuri che prima di arrivare al vostro piatto sia stato immagazzinato in recipienti opachi alla luce o, se trasportato e commercializzato in bottiglie, sia rimasto sempre al buio, o invece avete il sospetto-certezza che a causa del vetro trasparente l’olio abbia preso luce a lungo durante l’immagazzinaggio, il trasporto (p.es. in balle lasciate al sole in porti, depositi e davanti a negozi e supermercati, come accade con l’acqua minerale), durante la vendita e l’uso?
2. ARIA. L’olio extravergine di oliva che consumate è contenuto in oliere o bottiglie di qualsiasi colore, ma senza tappo oppure chiuse con tappo di sughero o di vetro o di ceramica o di metallo, ma comunque non a vite, a pressione o a tenuta d’aria?
3. CALORE. L’olio extravergine di oliva che consumate è conservato in cucina o nella sala da pranzo, cioè gli ambienti più caldi della casa (o, se siete al ristorante, lasciato sulle mensole o sui carrelli di sala, anche se in bottigliette di vetro scuro e col tappo a vite)? E siete sicuri che nel frantoio sia stato prodotto a freddo (cioè sotto i 40°C) e non invece a caldo, e poi immagazzinato a lungo, trasportato in balle lasciate al calore del sole, degli autocarri o degli ambienti chiusi, e venduto a temperatura ambiente?  Anche se non siete sicuri che produttore, distributore e commerciante abbiano conservato la “catena del fresco”, almeno in casa ricreatela. L’olio va conservato al fresco, più fresco possibile, e senza brusche variazioni di temperatura: l’ideale è a 12-14°C. A 6-10°C gela, il che non lo danneggia affatto chimicamente, soltanto richiede qualche ora per riportarlo alla temperatura di consumo.
4. COTTURA. Il vostro olio extravergine di oliva, anche nel caso ottimale e raro che sia stato ottenuto a freddo e conservato sempre al buio e, se commercializzato in bottiglia, in bottiglia scura, con tappo a vite e in ambiente fresco, lo  consumate quasi sempre o in prevalenza cotto (fritture, soffritture, olio aggiunto già in cottura)?  Del resto, come potreste fare diversamente, a meno che non abbiate forte personalità e competenze di chimica, scienza della nutrizione e vera gastronomia, visto che la stragrande maggioranza delle pietanze è cotta, anzi stracotta con l’olio, e ogni ricetta comincia con “fate soffriggere….”, “fare imbiondire in tegame una cipolla in poco olio…”)?

Male, malissimo, anzi, bene, benissimo, perché anche con una sola di queste quattro ipotesi voi siete destinati a risparmiare molto, beati voi: per voi l’olio buono, di qualità, il cosiddetto “olio genuino e fresco di frantoio”, sarà del tutto inutile. Per voi andrà bene qualsiasi olio, anche un banale olio extravergine da supermercato in “offerta” a euro 3,95 al litro, o anche meno. [Non so come facciano… roba che a noi costerebbe quasi altrettanto la bottiglia vuota… Ma no, lo so benissimo: lo spiego più avanti…]. Dico sul serio, non è una provocazione. Altro che “frantoio”, piccole produzioni, bio, oli “cru” e altri snobismi ridicoli alla Fantozzi.

Sù, non impersonate il ruolo degli Italiani delle barzellette inglesi: non fate storie e non atteggiatevi tutti a raffinati esigentissimi aristocratici gourmet con le pezze al sedere, come gli altri 49.999.999.999 Italiani. Perché l’olio di oliva vergine è sensibilissimo alla luce, al calore (ricordiamo che si misurano ben 20-25°C a casa e al ristorante) e soprattutto all’aria, cioè all’ ossigeno, tanto che ne risentono subito gusto, profumo, colore (tende a schiarirsi se era verde), e componenti chimici, tra cui – se c’è – la vitamina E, rara anche negli oli extra vergini di qualità. Un olio pagato 16 euro per 750 mL perderà dopo pochi giorni o settimane sostanze protettive, oltre al colore, all’odore e al gusto, se trattato come nei tre casi esemplificati sopra, cioè come fanno il 99,9% degli Italiani snob, che poi sono il 99,9% degli Italiani.

Ma che dici? – obietterà sdegnato qualcuno – Non lo sai che gli “oliacci industriali”, pur chiamandosi extra vergine di oliva, sono trattati chimicamente e fisicamente, anche se non possono essere raffinati? Certo. Ma, due sono le cose: o li “trattano” loro in azienda, o li “trattate” voi a casa. E vi assicuro che dell’olio e.v.o. ottenuto da olive raccolte dal terreno o marce e coi vermi importate dalla Spagna, oppure dell’olio vecchio di 3 anni riciclato, però trattati con calce viva, filtrati, centrifugati ecc. in modo da eliminare acidi in eccesso, sostanze di decomposizione e cattivi odori, il vostro organismo, non perché vostro (anche il mio), non si accorgerà minimamente. Nulla di tossico o di lesivo o di gravemente carente. A meno che non sia rancido: in tal caso è tossico e non commerciabile, serve solo per le lampade (“lampante”) o per fare ottimo sapone. Ma altrimenti, gli acidi grassi ci sono tutti, e sempre 1 g darà 9 calorie. E restano perfino, incredibile, molti polifenoli e sitosteroli. Proprio perché l’extra-vergine non è raffinato.

Continuiamo a parlare degli oli extra-vergini industriali di largo consumo e a basso prezzo. Com’è possibile? Certo, ci può sempre essere la frode, il caso marginale, ma quasi sempre tocca il mercato locale e marginale, mai tocca i grandi supermercati nazionali super-controllati da servizi acquisti di specialisti che hanno a che fare con grandissime aziende che non possono rovinarsi per sempre la reputazione e fallire per molti milioni di euro; oltretutto con gli occhi addosso dei NAS dei Carabinieri, della Finanza e della Sanità.

E allora qual è il segreto di questi prezzi scandalosamente bassi?
  • grandi quantità di olio od olive acquistati sulla carta (future)con contratti in largo anticipo, anni prima, quando i prezzi erano più ragionevoli. Oggi, quindi, si può trovare a prezzi bassi e in bottiglie verdi con tappo a vite dell’ottimo olio extravergine  dello scorso anno: non lasciatevelo scappare.
  • olive od olio scadenti (per lo più olive di scarto, raccolte a terra, alcune addirittura con i vermi, da Spagna, Tunisia, Grecia, perfino Italia ecc.), ma deacidificati e trattati con i mezzi consentiti dalla severissima legge – la più severa al Mondo – che regola gli oli di oliva extra vergini in Italia (p.es. calce e filtri).
  • mescolamento di oli di diverse provenienze: nazionali (“olio tutto italiano”), comunitarie (cioè Europa, in cui ci possono essere Spagna e Grecia), o extra-comunitarie (Tunisia, Marocco).
  • utilizzo di proprie rimanenze di cisterna e oli invenduti di terzi, quindi col rischio di olio in origine buono ma ormai vecchio, in cui sono già in atto processi ossidativi.
  • vendite periodiche “in offerta” al puro costo o sottocosto per attirare acquirenti e poi vendergli anche l’olio più costoso della medesima marca.
  • Altri trucchi eventuali.
Ecco il vero segreto di Pulcinella del bassissimo prezzo di certi oli extra vergini popolari, da cui i buongustai e i naturisti giustamente si tengono lontani, perché privi di sapore e odore caratteristico (oppure addirittura puzzolenti e disgustosi), ma anche – ormai si sa – poveri o poverissimi di antiossidanti e privi di attività protettive-farmacologiche.

1. Però, il tema è un altro: i non-buongustai (in Italia è dura trovarne qualcuno…) o meglio, diciamo, quei tanti che pur dichiarandosi buongustai, esigenti, salutisti, naturisti ecc. poi in pratica usano l’olio quasi solo per cuocere e in più lo conservano male, per ignoranza o indifferenza. Ebbene, tutta questa gente, che in genere mangia malissimo, ha una dieta poco salutare, e si tratta di milioni di Italiani, ma perché cavolo va cercando l’olio “migliore”, “genuino”, “di frantoio”, “grezzo”, “naturale”, “spremuto a freddo” o “biologico”? Ma come si permettono? Ma che vogliono, tutto (il cibo cattivo) e il contrario di tutto (l’olio buono)? Questi non si meritano nessun suggerimento di marchi e tipi di olio, che del resto acquisterebbero in massa per moda, conformismo. Abbiano almeno un minimo di coerenza! Visto che essi stessi, qualunque sia il reddito e il titolo di studio, mangiano male, e trattano male, anzi, rovinano l’olio, qualsiasi olio, che almeno non si lamentino che “quest’anno manca l’olio buono”, e si accontentino dell’olio extra vergine a basso prezzo del supermercato, che oltretutto va benissimo per cuocere e può essere pure esposto nella loro vezzosa ampollina da tavola. Insomma, nessun classismo, ma la classe uno se la sceglie da sé: se uno non è esigente nel consumo, non sia esigente neanche nell’acquisto. Monsier de la Palisse.

2. Perché è così ininfluente il tipo di olio? Ma perché, Signori della Corte, di olio, qualunque sia, possiamo usarne poco, pochissimo: va calcolato a grammi, cioè a cucchiaini (diete particolari) o a cucchiai, cioè al massimo a 10 g ogni volta (il contenuto di un cucchiaio da minestra, pari a 90 calorie), in una dieta giornaliera che supera, e spesso di molto, il chilogrammo di cibo. Che volete che facciano i 10 g di olio un po' scadente (ma non rancido: questo farebbe male)? Nulla: il corpo neanche se ne accorge. Gli antiossidanti li prende da altri cibi: sono così abbondanti. Eppure l’olio – qualsiasi tipo e marca – ha un’incidenza energetica notevole. Pensate che Nico-1, l’esperto severo, ancora accusa Nico-2, il gaudente goloso, perché consuma la bellezza di 2 cucchiai interi di olio a pasto: uno per il primo e uno per le verdure in insalata. Cioè 4 cucchiai al giorno, che fanno (4 x 90) ben 360 kcal al giorno, più di un piatto da 100 g di pastasciutta. Non è un consiglio per gli altri: anzi, non seguite l’esempio: è una confessione. Quest’ultimo, il tanghero, si è finora difeso vittoriosamente opponendo che le ultime tendenze nutrizionistiche sono di aumentare la quota grassi (protettivi, non dimentichiamo che la stessa cellula è protetta da acidi grassi) e di ridurre i carboidrati, non solo zuccheri ma anche farinacei (che di per sé, se non accompagnati da polifenoli-vitamine-fibre-antinutrienti tipici dell’integrale, non sono protettivi, anzi nei sedentari favoriscono il sovrappeso e le malattie metaboliche). Ma i due Nico si possono permettere “tanto” olio perché lo usano solo crudo e ottimamente conservato, e su una cornucopia di verdure, legumi e cereali integrali di bassa assimilabilità. Gli altri, la quasi totalità dei concittadini, non possono dire altrettanto.
Morale: è illogico, incoerente, paradossale, offensivo, fare tanto i fanatici e perfezionisti con un condimento che va preso a grammi, quando poi si usano mezzi chili di farinacei raffinati (pane, pizze, torte, croissant, grissini, tramezzini, muesli industriali ecc.) deprivati di sostanze protettive e addizionati d’ogni cosa, e si supera anche 1 kg al giorno per le verdure, sulla cui origine “il tacere è bello”.

3. L’olio extra vergine di oliva si conserva benino, ma solo in un ambiente adatto (fresco, buio, senza ossigeno, senza cottura), e soltanto se era ottimo o buono all’origine (quindi contenente anche vitamina E antiossidante). La vit. E è presente all’origine in tutti i semi oleosi al naturale, dal girasole all’oliva (a meno che quest’ultima non sia marcia), ma è inesistente negli oli di semi che si acquistano, a causa della raffinazione termica e chimica, ed è scarsa o rara perfino nell’olio di oliva extra vergine, checché ne dica la famigerata gente “esperta”. Anche un costoso olio extravergine può essere in realtà mediocre chimicamente, cioè non antiossidante, ma anzi produttore di radicali liberi, e di non buon sapore-odore (o inodore) perché: (1) è stato ottenuto da olive troppo mature (acidi grassi già in parte degradati) come si usa nel Sud per ricavare più olio e guadagnare di più, (2) con alcune olive marce, il che accade più spesso se le olive si raccolgono da terra come si fa nelle aree arretrate del Sud e del Mediterraneo, (3) se è stato ottenuto nei frantoi a temperatura superiore a 40°C e-o (4) mal immagazzinato-conservato-trasportato in cisterne-depositi-autocarri-negozi, e infine (5) mal tenuto in cucina o in sala da pranzo a contatto con luce-calore-ossigeno nelle case private e nei ristoranti, dal bottiglione all’oliera da tavola. Questo in negativo.

In positivo, quindi, l’olio extravergine ottimo (crudo) sarà solo quello che non è stato rovinato da questi 5 passaggi negativi. Se poi lo si cuoce, anche se era costoso o ottimo, perde gran parte delle sue qualità, e si confonde con l’olio che ha avuto alcuni o tutti quei passaggi negativi.
Per fortuna, l’extravergine ha anche altri numerosi antiossidanti e decine di sostanze utili o caratteristiche di colore-aroma-gusto. Perciò, dopo il decadimento rapido dei primi giorni o delle prime settimane nelle nostre case o nei magazzini (perde subito odore, gusto, colore, capacità antiossidanti), si conserva benino, sia pure con proprietà molto ridimensionate, per 1 anno, come sanno tutti; resiste mediocremente (sempre se era ottimo all’origine, v. sopra che vuol dire “ottimo”) per 2 anni, e in casi eccezionali (vuol dire che era molto buono in origine e le misure di conservazione sono state strettissime) resiste passabilmente anche per 3 anni (da usarsi in cucina, non a tavola). Io una volta regalai a un amico giornalista, senza avergli nascosto i 3 anni appena compiuti, un boccione di vetro verde con tappo a vite a perfetta tenuta trovato casualmente nella mia buia e fresca cantina. Be’, ancora mi sta ringraziando.

4. Morale: in questo frangente di penuria di olio fresco, andrà più che bene l’olio dell’anno scorso, messo da parte dai responsabili acquisti delle ditte (mica sono scemi: hanno acquistato in anticipo stipulando contratti molti anni prima – nelle annate “grasse” – per spuntare prezzi bassi e grosse quantità, e così hanno qualche riserva, ecco il segreto dei prezzi bassi.... anzi nel mercato dell’olio ci sono veri e propri... titoli “future”...:-). Ecco perché in un discount ho trovato un discreto extra vergine di oliva biologico toscano a 4,90-5 euro per 750 mL (pari a ca 6,50 euro/L). E vi dirò, nonostante la mia diffidenza, c’era perfino il profumiono di erba, cosa che molti oli “genuini” di frantoio con olive pressate proprio davanti ai tuoi occhi, neanche hanno più dopo 3 giorni (la prima spia in un olio è l’ odore – scartare, tranne che in questa emergenza, gli oli senza odore – poi il colore, infine il gusto. Mentre occorre il laboratorio per il calcolo del contenuto antiossidante, che però in molti casi può essere presunto, se le olive non erano troppo mature, se la spremitura era davvero “a freddo”, se la conservazione e il trasporto hanno seguito la difficile “catena del fresco, del buio e del riparo dall’aria”. Vedo con piacere che perfino questi oli “bio” economici ma accettabili stanno in bottiglia di vetro verde scurissimo e tappo a vite con molti giri, cioè che tiene. Così la puoi portare direttamente in tavola. E’ lo stesso prezzo dell’anno scorso.

E gli “oliacci” dei supermercati? Be’ non generalizziamo. Ci sono quelli che almeno hanno un buon sapore e superano i test, altri, magari notissimi, che non lo superano (v. sopra, link in rosso). Ma insomma, diciamola questa amara e provocatoria verità: per chi non è un fanatico della conservazione, qualunque olio va bene, viste le ridicole quantità (grammi) rispetto al cibo quotidiano, spesso pessimo, che ingurgitiamo (chilogrammi). Condiremo con l’olio dell’anno scorso o con quello (tantissimo) importato da Spagna e Tunisia.

E allora? Impareremo finalmente a condire in modo alternativo, e a diluire l’olio con più succo di limone, passata di pomodoro, salsine alle erbe, zenzero, curcuma, aceto di vino o di mele. In certi piatti cerealicoli, perfino con yogurt o ricotta diluiti. Mangeremmo – ecco, è l’occasione giusta – più noci e mandorle e nocciole e pinoli e girasole e sesamo e semi di zucca. Molto, molto più sani e protettivi di qualunque olio, come tutti i semi oleosi interi e ben conservati (attenti solo alle noci, sono di difficilissima conservazione: quelle in vendita non sotto vuoto spinto spesso sono irrancidite: in tal caso non prevengono ma provocano i radicali liberi).

E soprattutto non dategliela vinta a giornalisti “gastrologi” snob o pseudo-intenditori da tv, tenutari di rubriche (in realtà sbafatori di pranzi gratis, per non dire altro), gourmet autoeletti, assaggiatori del menga, e cialtroni generici del web, che straparlano di oli “cru” e altre baggianate: favoriscono solo gli speculatori, in Italia numerosissimi, visto che siamo un popolo di furbi. E a furbo, furbo e mezzo.
Già dal contenitore usato l’olio si giudica a una prima selezione visiva. Qui sopra, per esempio, è rappresentata una confezione di olio commerciale in fiaschetto, quindi sicuramente costoso, casualmente scelta su internet, un olio probabilmente pubblicizzato come “di qualità” che non abbiamo mai provato e non conosciamo minimamente, ma ha il torto grave di essere contenuto in una bottiglietta di vetro trasparente chiusa con tappo di sughero,sia pure sigillato. Il che vuol dire che questo olio è sottoposto al rischio luce e aria (una volta tolto il sigillo che protegge il tappo).

Insomma, già da questi particolari sui materiali usati si comincia a capire un olio. Altro che dal prezzo! Se proprio, non dico produttori e commercianti che fanno il mestier loro, ma i milioni di Fantozzi acquirenti snob da Trepalle a Pantelleria vogliono essere utili alla salute propria e degli altri, non si attacchino a un condimento da 10-20 grammi, ma al cibo raffinato e orribilmente trasformato che mangiano ogni giorno a chili, e pure in eccesso.

Morale della favola: se non sei in grado di garantirne la produzione e la conservazione, scartati quelli che hanno cattivo odore e sapore (o non ne hanno affatto), un olio vale l’altro.

IMMAGINI. Olio sfuso in ampollina da tavola (oliera) e sigillato in fiaschetta commerciale: in entrambi i casi il vetro trasparente e la mancanza di tappo a vite, come anche il tepore della temperatura ambiente, danneggiano in modo irreparabile l’olio extravergine di oliva.
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JAZZ. Sahib Shihab (pseudonimo di Edmund Gregory) è stato un sassofonista be bop con solide basi in grandi orchestre, che qui possiamo ascoltare in un disco a 33 giri registrato con un gruppo jazz della Radio Danese nel 1965. L’ album è diviso in nove brani, ascoltabili anche separatamente:
Di-Da (5:10)
Dance Of The Fakowees (4:13)
Not Yet (
Not Yet (3:25)
Tenth Lament (
Tenth Lament (6:20)
Mai Ding (
Mai Ding (4:49)
Harvey's Tune (
Harvey's Tune (3:08)
No Time For Cries (
No Time For Cries (3:53)
The Crossyed Cat (
The Crossyed Cat (3:37)
Little French Girl (
Little French Girl (2:34)


AGGIORNATO IL 29 MAGGIO 2015