19 dicembre 2008

SOPRAVVIVENZA. Ecco come reagisce il corpo: regole e tempi per l’emergenza.

Zattera-della-Medusa-Géricault (picc) SCIENZA DELLA SOPRAVVIVENZA

VIVERE COME RAMBO

Vera o simulata, l'emergenza impone ai suoi protagonisti non solo regole ferree, ma anche un eclettismo tecnologico degno d'un Leonardo. Bisogna insegnare a tutti che l'unico fattore su cui fare affidamento è il corpo, che reagisce in modo diverso allo stato di pericolo a seconda degli individui, delle condizioni fisiche, dell'attitudine mentale e delle conoscenze scientifiche.

NICO VALERIO, Scienza 2000, settembre 1985

La morte più beffarda fu quella che ghermì un'intera famigliola di «velisti della domenica» qualche anno fa, davanti alle coste delle Canarie. Tuffatisi in acqua tutti insieme, in mare aperto, senza aver prima disposto opportune sagole, cime o scalette di servizio per la risalita a bordo, cercarono invano disperatamente un appiglio sulle alte e viscide fiancate di vetroresina del loro barcone, finché a notte fonda, disperati e debilitati per la sete e gli sforzi prolungati, si lasciarono inghiottire ad uno ad uno dalle onde. Una fine orribile quanto banale, che poteva essere evitata spendendo più razionalmente le proprie forze per raggiungere a nuoto la costa. Ma quanti conoscono i tempi di sopravvivenza in acqua di un organismo sottoposto a stress?

Quello che affascina gli studiosi e gli esperti dell'emergenza e della sopravvivenza (altrui, beninteso) è proprio quel coefficiente k di imponderabilità dovuto al fattore umano e alle variabili condizioni climatiche e meteorologiche. L'effetto dei raffreddamento della pelle a causa del vento, che è una delle principali occasioni di perdita di calore e di debilitazione fisica dei marciatori sulle creste più esposte o dei pescatori d'altura o dei velisti solitari da regata, può provocare i sintomi dell'assideramento anche in individui del tutto sani e perfino nella buona stagione. Tutto dipende dalle condizioni psicofisiche del soggetto, dall'efficienza dei suo sistema termoregolatore, dal clima, dalle condizioni di umidità relativa dell'aria, dall'ampiezza dell'escursione termica giorno-notte, e così via.

Rapportando su tabelle i valori della velocità stimata del vento nel punto x con la scala delle temperature termometriche in gradi centigradi, si ottengono alle varie velocità le temperature «equivalenti» in gradi centigradi sul corpo umano. Facciamo un esempio. E’ autunno inoltrato, nell'emisfero borea­le. Gli escursionisti raccoltisi alla meglio sul battello d'emergenza remano con gran­de fiducia, Sono ben riposati, non hanno freddo e la loro temperatura corporea è an­cora alta, la temperatura esterna è intorno ai 10°C, quella dei mare è di poco superiore, lo spinto dei gruppo è molto buono. In teo­ria, quindi, i naufraghi non avrebbero nulla da temere ed anzi potrebbero coltivare un legittimo senso di sicurezza di sé. Ma han­no commesso un errore: non hanno tenuto conto della variabile vento. Con le sue raf­fiche di 20-30 nodi, pari a circa 10-14 m/sec. (scala Beaufort: 5-6), il vento agisce da potente refrigerante e in conseguenza la temperatura «equivalente» si abbassa fino a ‑1‑2°. Siamo, cioè, malgrado il fuor­viante ottimismo dei velisti naufraghi, in piena «zona di congelamento e di pericolo di assideramento», in cui è massimo il ri­schio dei falso senso di sicurezza.

Chi va per mare, chi discende torrenti e fiumi a bordo di canoe e kajak, perfino chi partecipa ad una comoda crociera a bordo di una grande turbonave, dovrebbe sapere che esistono delle tabelle precise che riportano i tempi massimi di resistenza in acqua «a corpo nudo e senza subire danni», a seconda delle diverse temperature dell'acqua. Sono dati allarmanti che più d'un lettore a torto giudicherà poco credibili e troppo severi. Da fermi, cioè senza nuotare affatto, con una temperatura acquea di ben 25°, la soglia di resistenza senza danni è di soli 60-120 minuti. Nuotando i tempi si allungano sensibilmente, come è ovvio. L'autoproduzione di calore muscolare prevale sulla perdita di calore dovuta al contatto continuo con l'acqua, che è un ottimo ma inesorabile Conduttore e dispersore di calore..

A 18-21°, nuotando, si resiste senza danni per 150‑210 minuti. Ma a soli 10-13° di temperatura idrica, anche muovendosi a più non posso e nuotando da forsennati, si resiste per l5-30 min. Insistendo, ovviamente, si può resistere di più, come mostrano certi primati di nuoto in traversate mirabolanti (la Manica, il Canale d'Otranto ecc.); ma in questi casi non si tiene conto dei danni che l'organismo subisce. Per evitare tali danni, i nuotatori sportivi (ma lo sport non è certo l'esempio migliore per configurare un'emergenza o un'ipotesi di sopravvivenza) si fanno cospargere di grassi insolubili, si muniscono di mute di gomma con riscaldamento interno, oppure fanno affidamento su una continua assistenza esterna (ossigeno, bevande calde ecc.).

Anche in caso di calamità naturali o inci­denti fortuiti, come incendi, alluvioni, ter­remoti, maremoti, eruzioni vulcaniche, di­sastri ferroviari e aerei, naufragi, valanghe, incidenti d'auto, panico tra la folla, attac­chi di animali e perfino in caso di rapine, aggressioni, moti insurrezionali e guerre le regole per utilizzare razionalmente le pro­prie forze e il proprio istinto trascendono ormai i confini casuali di un'arte individua­le per assumere dignità di una nuova «scienza» o cultura della sopravvivenza. Non è certo un caso che le scuole e i corsi d'addestramento aperti anche in Italia, su modello anglosassone, abbia o tanto successo tra il largo pubblico, la formula vincente prevede attività pratiche, esercitazioni sul campo, ma anche molta teoria, molte conoscenze scientifiche e tecnologiche.

I nuovi corsi pratici dell'Associazione per 1'educazione alla sopravvivenza hanno come significativo sottotitolo: «Strategie, tecniche e modelli per la preservazione umana». Qualche secolo fa nessuno si sarebbe sognato di insegnare l'arte di restare in vita, malgrado tutto. Come adattarsi anche alle peggiori condizioni ambientali lo insegnavano genitori e parenti. Il «survival» non era una moda ma una reale condizione di esistenza per la maggioranza degli uomini. Oggi, invece, le sicurezze e il «facilismo» della civiltà industriale evoluta hanno relegato il concetto di sopravvivenza a casi rari ed eventuali, a momenti fortuiti, di fronte ai quali siamo sprovvisti di qualsiasi possibilità di adattamento e di reazione conservativa. Per questo i tecnici dell'A.E.S. parlano di «nuova mentalità», di «nuovo atteggiamento psicologico» da sviluppare di fronte agli eventi naturali e umani.

Non solo risolvere il problema essenziale di restare comunque in vita, ma anche riconoscere in tempo quali sono i pericoli incombenti, reagire ad ogni problema dei corpo, accertare le priorità necessarie a mantenerci sani, combattere e superare i “nemici” e ostacoli, sapere improvvisare per le necessità immediate, ed infine possedere e saper usare il buon senso per risolvere i maggiori problemi. Ecco che cosa vuoi dire sopravvivenza: soprattutto adattabilità. Durante la guerra di Corea i sanitari notarono che molti soldati delle Nazioni Unite morivano nei campi di prigionia cinesi e nord-coreani. Ad eccezione dei turchi. Come mai? Innanzitutto questi ultimi avevano maggior fiducia in se stessi e maggior coesione di gruppo, e quindi maggior volontà di sopravvivere. Poi sapevano riconoscere ogni possibile risorsa commestibile: foglie, erbe, larve, insetti, cortecce di alberi. Quello che raccoglievano lo raccoglievano parzialmente, senza strappare le radici e senza distruggere le tane. Insomma, una mentalità diversa.

«Quanto tempo può sopravvivere un uomo? Non esistono tabelle generali valide per tutti i casi» risponde Jacek E. Palkiewicz che è diventato celebre in Italia come ideatore e istruttore di corsi di sopravvivenza particolarmente realistici. I clamorosi casi di avventure impossibili o disastrose risoltisi in modo positivo per i protagonisti sono numerosissimi. Il più drammatico e raccapricciante degli ultimi decenni è quello che capitò ai 45 passeggeri d'un aereo schiantatosi su un vulcano di 3500 m nella catena delle Ande, il 15 ottobre 1972. Solo 16 tra gli scampati riuscirono a sopravvivere dopo 70 giorni di vita totalmente selvaggia e primordiale. Si seppe poi che si erano nutriti dei cadaveri dei loro compagni morti; proprio come accaduto nel luglio del 1816 di fronte alle coste del Senegal ai 147 naufraghi della nave La Meduse che per 17 giorni alla deriva su una zattera si divorarono l'un l'altro [v. celebre dipinto del Géricault, sopra, NdA].

Il caporale dei marines Karl Beli, preci­pitato in una gola larga 400 metri e lunga 6 km, lungo il corso del Bear River in Cali­fornìa (14 giugno 1983) sopravvisse per 40 giorni. Dopo 20 giorni di digiuno il Beli co­minciò a mangiare erbe, muschio e formi­che. Fu trovato sano e salvo: il suo peso era sceso da 95 a 61 kg. Il marinaio cinese Pun­ Lim, dopo che la nave inglese su cui pre­stava servizio, la Ben Lemond, era stata colpita da siluri tedeschi (novembre 1942), sopravvisse per 133 giorni su una zattera in mare aperto, nutrendosi di pesci crudi pe­scati con un rozzo amo ricavato da un chio­do. L'americano Steve Callahan, che il 28 gennaio 1982 aveva preso il mare dalle Ca­narie Con rotta per i Caraibi a bordo di uno sloop di 7 metri fu urtato una settimana dopo da una balena e naufragò.

Riuscì a sopravvivere dopo 76 giorni di deriva gra­zie ad un battellino pneumatico di emergenza contenente 1,5 kg di cibarie, acqua per 10 giorni, un fucile da sub, una radio trasmittente e un distillatore d'acqua a energia solare. Fu salvato a 80 miglia a sud di Antigua, molto provato ma in buona sa­lute, nonostante un calo di peso di 18 kg. La spedizione capitanata dal comandante Charles Sturt nella regione arida australia­na rimase per ben 11 mesi prigioniera del deserto, con temperature medie di 40°C e punte di 70°C al sole (1844-45).

Un gruppo di ricerca russo compì nel 1982-83 un coraggioso viaggio di 10 mila chilometri al di là del Circolo Polare Artico, in luoghi della Siberia ancora vergini. Furono 7 mesi di fatiche inumane in un ambiente caratterizzato da freddo intenso (anche 60°C sotto zero), venti glaciali e numerosi pericoli. Con tutto ciò il medico del gruppo, Vladimir Rybin, volle sperimentare gli effetti della denutrizione in situazioni d'emergenza sottoponendosi ad un digiuno volontario totale di 15 giorni. Come si era già provato in esperimenti di laboratorio in condizioni «normali», il medico confermò che gli stimoli della fame spariscono dopo pochissimi giorni, così come diminuisce il senso di debolezza iniziale. Alla fine della prima settimana l'efficienza lavorativa era ancora perfetta. Anzi, dal punto di vista biologico, l'organismo sembrava quasi rafforzarsi: le piccole ferite, ad esempio, si cicatrizzavano prima del solito. Evidentemente, dedusse Rybin, il digiuno completo stimola l'utilizzazione di energie interne dell'organismo, rallentando il metabolismo generale, bloccando le secrezioni dello stomaco, depurando il sangue dalle tossine e migliorando la resa biologica e l'efficienza glandoIare.

I sopravvissuti, in tutti i casi, hanno sempre dichiarato di essersi salvati grazie al vitalismo e all'ottimismo di cui erano dotati. La paura e l'abbattimento psicologico sono in realtà le insidie principali e più pericolose nelle situazioni d'emergenza. Più che per fame si muore per la paura atavica ma irrazionale di «morire di fame». Questa è la sindrome classica del sopravvissuto. In realtà, come hanno dimostrato recenti esperimenti di laboratorio, l'uomo in buona salute ha la possibilità di spendere in modo oculato le proprie riserve d'energia fisica e psichica, sopravvivendo anche 40 giorni senza toccare cibo (cfr. anche la Bibbia a proposito del «digiuno di 40 giorni nel deserto,»). Chi muore prima, spesso nei primissimi giorni dopo il disastro, è in realtà vittima di se stesso, della scarsa fiducia nelle proprie possibilità e di quel tipico obnubilamento da paura capace di far compiere scelte assurde e irrazionali. Ecco perché gli istruttori dei corsi di sopravvivenza tendono a porre in primo piano la conservazione e il miglioramento delle capacità logiche del soggetto.

Per mettersi in salvo in caso di disastri di ogni tipo (catastrofi naturali, attacchi con armi ecc.) è di fondamentale importanza avere la possibilità di allontanarsi rapidamente dal luogo colpito. «L'arte della fuga», perciò, deve essere coltivata da tutti.

I manuali e i corsi di sopravvivenza sono prodighi di insegnamenti al riguardo: da come camminare alla «cintura di sopravvivenza». Quest'ultima contiene ben 30 oggetti indispensabili in caso di fuga improvvisa, dai banali fiammiferi alle pastiglie per depurare l'acqua, dalla bussola alla radio, dagli ami al fischietto, dal concentrato energetico al disinfettante. Il kit completo è invece contenibile in uno zainetto di 10 kg e permette la sopravvivenza per almeno una settimana. E' composto di 1-2 teli militari per riparo e mimetizzazione, di un attrezzo tuttofare militare (pala-piccone-zappa), un coltello multiuso, alimenti energetici di pronto impiego (pemmican, dadi per brodo, miele e zucchero, caffè istantaneo, razioni militari di sopravvivenza ecc.) vestiario tipo tuta mimetica, medicinali, specchietto per segnali, torcia elettrica a dinamo, binocolo piccolo con lenti smontabili, cartine della zona, fogli e contenitori di alluminio, filo metallico per trappole ed altri usi, posate metalliche, matite e carta, fionda, un coltello tipo machete con fondina allacciata al polpaccio, borraccia da 1 litro.

Ed ora vediamo nei dettagli la cosiddetta «razione di emergenza» per climi rigidi e in situazioni stressanti. E' costituita da 350 gr di pemmican (v. appendice), 150 gr di biscotti integrali, 30 gr di pancetta o prosciutto, 50 gr di burro, 50 gr di farina o fiocchi d'avena, 100 gr di polvere di latte, 100 gr. di cioccolato fondente, 50 gr di zollette di zucchero o marmellata, 50 gr di frutta secca, 10 gr di polvere d'arancio o limone, 50 gr di semi oleosi (noci, mandorle, nocciole ecc.), 10 gr di cacao in polvere, 3 gr di miscela sale-pepe. In climi caldi e in situazioni «leggere», ovviamente, si elimineranno i grassi e la cioccolata, che richiedono per essere metabolizzati enormi quantità d'acqua, e ci si limiterà alla frutta fresca e secca accompagnata da biscotti e cereali pronti (muesli).

Il capitolo dell'orientamento, della determinazione del tempo e delle comunicazioni con l'esterno è largamente trattato da corsi e manuali, che insegnano perfino a costruire con mezzi d'emergenza una bussola e addirittura un rozzo ma funzionante apparecchio radio ricevente (con un rocchetto di filo elettrico, una spilla da balia, una lametta da barba, un pezzetto di mina di matita e l'auricolare d'un telefono). Numerosi sono i metodi per orientarsi empiricamente (dal bastoncino all'orologio, alla mano). Un codice internazionale di segnalazioni terra-aria permette di comunicare tra sopravvissuti (specialmente aviatori in panne) sperduti in deserti, montagne e gole inaccessíbili ed eventuali soccorritori in aereo o elicottero.

Sul cibo d'emergenza da raccogliere sul posto molto si sa, ormai. Intere categorie di piante e di animali sono edibili, senza tanti problemi, ed esigono attenzione solo per eventuali specie velenose o repellenti. Per la caccia d'emergenza, al puro scopo di sostentamento, sarà utile conoscere ed interpretare rettamente le tracce lasciate dagli animali (impronte di zampe, segni lasciati dal becco, escrementi, peli e piume ecc.). Sulle piante selvatiche mangerecce Scienza Duemila ha già pubblicato un servizio con un appendice di 64 piante (Le piante che scompaiono, marzo 1985) che va integrato dalle comuni piante spontanee edibili, fruttifere o no (dal nasturzio dei ruscelli al nocciolo).

Originali, invece, i consigli dati agli avventurosi escursionisti di un Camel Trophy o d'una traversata in Land Rover fuori pista del Grande Deserto Mongolo. Per carità, raccomandano le guide, non bevete per nessun motivo l'acqua distillata della batteria. Potrebbe contenere del piombo. Oppure: resistete in ogni modo al desiderio (!) di bere perfino l'urina, se avete finito le scorte d'acqua, perché (a parte le tossine) finirebbe per provocare ancora più sete, proprio come l'acqua di mare. Sarà utile, invece, per lenire il dolore causato da certe punture di insetti o dai tentacoli delle meduse, grazie al buon tenore di ammoniaca che neutralizza gli acidi tossici iniettati sotto la pelle.

Il problema energetico è molto sentito dal sopravvissuto che intende continuare a sopravvivere. Se è abile può perfino ricavare da un ruscello e da una vecchia bicicletta abbandonata una vera e propria piccola centrale idroelettrica per i propri usi. Delle pale di legno collegate in asse alla ruota dentata raccoglieranno l'energia dell'acqua e la trasferiranno mediante la catena alla ruota su cui rotola la piccola dinamo. Dai due fili elettrici terminali si sprigioneranno diversi volt e qualche decimo di watt di energia elettrica. Facile anche costruire pannelli solari ad acqua con protezione di vetro per l'effetto serra e tubi elicoidali dipinti di nero. Il motociclista dei Moto-raid in panne nel fondo dei Grand Canyon americano può ricavare dalla parabola del faro della moto un efficiente accendino solare.

I problemi veri, però, sono quelli psicologici e scientifici. Per questo sia il Palkiewicz che l'Associazione per l'educazione alla sopravvivenza curano in particolare l'aspetto educativo e preventivo. L'educazione alla sopravvivenza dovrebbe iniziare nell'infanza, quando l'individuo conserva un alto livello di curiosità e di apertura al mondo circostante, ed è ancora esente da immotivate prevenzioni, sfiducia e diffidenza. Bisogna insegnare a tutti che l'unico fattore noto su cui fare affidamento nell'emergenza è il corpo, che reagisce in modo diverso allo stato di pericolo a seconda degli individui, delle condizioni fisiche, dell'attitudine mentale e delle conoscenze scientifiche.

Tra i fattori umani cinque influiscono su ogni organismo in situazioni di stress o di emergenza: la reazione psicologica, l'effetto fisiologico della temperatura, le priorità vitali, gli ostacoli e i «nemici» basilari, la conservazione delle limitate risorse corporee. «La civiltà moderna ‑ mettono in guardia le guide ‑ non garantisce la vita dei cittadini in casi di emergenza. Soltanto noi stessi siamo i responsabili del nostro destino e di quello dei nostri cari». Perdere all'improvviso l'abitazione, l'acqua, il cibo, il gruppo sociale; trovarsi abbandonati in una sperduta foresta, sotto un temporale in zona monsonica, lontano dai servizi e dai beni della civiltà industriale, produce effetti gravissimi sulla nostra psiche e sul nostro organismo. Il tempo atmosferico, la paura di animali, di esseri umani ostili, la paura di perdersi o di morire, il riparo, l'orientamento, il vestiario, l'oscurità, la mancanza di compagnia e di comunicazione sono di per sé stressanti.

li panico si manifesta subito con respirazione affannosa, tensione muscolare, sensazione di vuoto allo stomaco, forte desiderio di correre. Uno sbalzo di 2-3°C in più o in meno della temperatura corporea normale provoca la perdita della capacità di pensiero coerente, di coordinamento muscolare e perfino il delirio. La perdita di sangue oltre i 2/4 è mortale, e può avvenire in soli 3-4 minuti. La perdita di 1/4 sconvolge il funzionamento dei nostro organismo. In caso di crolli, inondazioni, frane, alluvioni e terremoti, ricordarsi che si può vivere al massimo 3 minuti senza aria, dopodiché si verificano danni irreparabili alle cellule cerebrali. In condizioni estreme si può vivere solo 3 ore senza riparo e 3 giorni senza acqua. La perdita dei 7% dei contenuto idrico dei corpo produce già disidratazione.

I fattori mentali sono però i più importanti. Tutti i sopravvissuti hanno sempre dichiarato di essere stati sospinti alla salvezza da una forte e irresistibile volontà di vivere. Sui manuali si legge infatti che la sopravvivenza dopo una catastrofe è per l'80% dipendente dal fattore mentale, per il 10% dell'equipaggiamento e per il 10% dell'abilità personale. La rigidità nel seguire uno scopo prefissato, la mancanza di elasticità o di adattamento, l'immaginazione eccessiva (vedere, udire, temere cose irreali), le paure basilari (sconforto, ignoto, animali, gente, solitudine, oscurità, morte), possono essere fatali.

Il corpo, da parte sua, ha limitate quantità di energia che vanno spese oculatamente e subito ricostituite. Il sistema circolatorio, in particolare, può «servire bene un padrone per volta»: o l'apparato digestivo o quello muscolare oppure il pensiero. li sangue tende ad accumulare tossine producendo senso di stanchezza. Ricordarsi perciò che la fatica è eliminata sola dal riposo e dal sonno. In certi casi è meglio dormire lo minuti ogni ora piuttosto che 4 ore di seguito. 10 minuti di riposo ogni ora eliminano di norma il 50% dei prodotti di scarto accumulatisi nel sangue. Per conservare energia, in modo da vivere anche tre settimane senza cibo (purché si abbia acqua), è necessario limitare l'uso dei muscoli, impedire la sudorazione, indossare abiti asciutti e non umidi. Questi ultimi provocano una perdita del calore corporeo fino a 240 volte superiore a quella con vestiti asciutti. L'immersione in acqua ruba calore corporeo 50 volte più in fretta dell'aria. Non inspiriamo aria fredda, né mangiamo o beviamo bevande e cibi freddi: riscaldarsi fino a 37°C costa energia al nostro corpo. Durante una marcia, un trasferimento, una lunga fuga attenti infine ai sintomi più vistosi di esaurimento osservati nei vostri compagni di sopravvivenza o in voi stessi, come mancanza di riflessi, apatia, frequenti cadute o inciampi. Potrebbe mancare solo mezz'ora alla fine più drammatica: il tracollo del sistema cardiocircolatorio. Meglio, allora, prevenire per tempo l'alea dell'emergenza e abituarsi giorno per giorno anche in tempi normali e calmi a sopravvivere.

N.V.

NOTA. L’articolo originale conteneva anche una corposa appendice tecnica e pratica (“Qualche dato per sopravvivere”) di dati riuniti in tabelle, che saranno scannerizzate in un secondo momento: I sintomi di stanchezza, Equipaggiamento d’emergenza, Sopravvivenza approssimativa nel deserto, in giorni, Distanze percorribili mediamente in un’ora, Tempi massimi di resistenza in acqua, Il pemmican, Bibliografia.

IMMAGINI. La celebre zattera della Medusa di Géricault, ispirata a una drammatica vicenda realmente accaduta nell’Ottocento.